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Donal Glover ha spiegato perché non sarà più Childish Gambino

Lo ha fatto in un'intervista al 'New York Times' per l'uscita di 'Bando Stone in the New World' l'ultimo disco con quello pseudonimo. Tra le motivazioni ci sono la vita privata e i grandi cambiamenti del music business

Foto: Pavielle Garcia/RCA

«Non è più appagante, sento che non ho più bisogno di andare in questa direzione». Così Donald Glover ha parlato del suo nome d’arte e progetto musicale Childish Gambino che dopo questo weekend verrà ufficialmente ritirato dallo stesso artista. Il momento della realizzazione per Glover è arrivato a fine produzione di Bando Stone and the New World, quello che a tutti gli effetti sarà l’ultimo album di Childish Gambino e che nella fattispecie sarà il suo sesto disco nonché la colonna sonora del film omonimo di cui Glover è regista e attore protagonista.

Parlando con il New York Times, Glover ha raccontato le motivazioni dietro la sua scelta. In primis, ci sono dei motivi personali. Negli ultimi 6 anni infatti l’artista ha perso il padre e accolto altri due figli (siamo così a tre), cambiamenti che hanno inciso sulle sue priorità: «Non sono più un 25 enne che di fronte a un masso pensa “ok, lo devo spostare”. Ora do quello che posso, la bellezza è in ogni momento. Non devi costruirla, non devi cercarla».

Tra la carriera da attore, regista e autore – oltre naturalmente al ruolo di padre e marito e, non in ultima, quella da impreditore con la sua compagnia Gilga – per Glover è diventato sempre più difficile, a livello logistico, poter far un album agli standard da lui voluti. Oltre a questo si aggiungono anche riflessioni sulle problematiche più ampie del music business come il declino del formato album e le crescenti difficoltà nell’andare in tour. «Il successo per me è pubblicare un album su larga scala che io ascolterei», ha spiegato, «E per questo album volevo suonare in grandi arene e a vere delle canzoni che fossero degli inni da cantare in questi spazi così grande, così che le persone potranno vivere un certo senso di comunità durante i concerti».

E sul momento della realizzazione racconta, «Ho solo pensato: “È finita”»

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