Vasco e San Siro stanno cantando Sally, la canzone più tatuata sui corpi degli italiani, e quando arriva il “forse ma forse ma sì” lui non riesce più a trattenersi. Ha gli occhi lucidi e urla un «Grazieeee!» liberatorio. Vi sembra poco, lo so, ma è la prima volta dall’inizio del concerto che Vasco dice una parola che non sia già nelle sue canzoni – se si esclude il classico finale di Rewind dal vivo, “fammi un… piacere”.
È giusto così: quello che aveva da dire l’ha messo nelle canzoni. Aveva iniziato a dirlo un paio d’ore prima, quando ancora non era buio e dopo una intro di Shostakovich aveva attaccato con Sono innocente ma…. La scaletta è lunga, il pubblico dimostra di aver ben metabolizzato le canzoni dell’ultimo album (Duro incontro, Quante volte, Dannate nuvole, Guai), ma bisogna aspettare Stupendo per sentire che voce ha San Siro – spoiler: fa una certa impressione.
La playlist delle canzoni che ha suonato Vasco a San Siro:
Stupendo e Quante volte arrivano dopo un medley acustico – di quelli con Vasco seduto, chitarra acustica e contrabbasso elettrico – e dopo un intermezzo rock che sembrava un riempitivo e invece era il momento chiave. Vasco era andato dietro le quinte, Clara Moroni (corista) aveva preso le redini del palco e per una decina di minuti si è capito che cosa sarebbe stato il concerto senza Vasco: un tributo agli Evanescence, che poi è un modo nobile per dire un-insieme-di-cliché-rock-ben-suonati: i chitarristi in pose hard rock (facile, visto che Stef Burns è stato uno dei grandi del genere, prima di venir conquistato da Vasco, a San Siro, proprio 20 anni fa), il batterista (Will Hunt, davvero degli Evanescence) dalla bionda chioma fluente che picchia come se stesse dando il tempo ai rematori. Non a caso si scivola nel gioco dei sosia: il bassista (Claudio Golinelli aka il Gallo) che sembra sempre più Bob Dylan, Clara che si sta avvicinando a Brenda di Beverly Hills 90210 e Vince Pastano a Russell Brand. (Vince ha la maglietta più bella della serata, con il diavolo che domanda: “God is busy, can I help you?”).
Quell’intermezzo ha messo in chiaro quanta differenza faccia Vasco Rossi sul palco, con i suoi occhi azzurri che sembrano puntarti e quell’aria di uno che in qualche modo capisce quello che stai passando.
Il concerto avanza verso il finale con due encore che non lasciano scampo: Vivere / Come vorrei / Gli angeli e poi Sally / Siamo solo noi / Vita spericolata / Albachiara. Le ragazze saltano in spalla ai (?) fidanzati, si lanciano reggiseni, si sta a torso nudo e con le fasce di Vasco legate in testa e prima o poi ci si abbraccia e si piange, perché tutti abbiamo una canzone di Vasco che ci ricorda un momento della nostra vita, o anche solo perché tutti sappiamo cosa vuol dire “vivere e non essere mai contento”. Ogni tanto qualcuno accende un fumogeno, con lo stesso spirito con cui, nelle chiese ortodosse, i fedeli fanno il segno della croce quando la preghiera tocca un punto che gli sta a cuore.
Vasco sul palco fa la differenza, con quell’aria di uno che capisce quello che stai passando
Vasco suona a San Siro da 25 anni e il suo concerto è ancora quello che deve essere: un potente rito di catarsi, una serata di espiazione collettiva per italiani medi, grandi e bambini, cougar e assicuratori. È la veglia di preghiera di noi poveri cristi e vogliamo che finisca con Albachiara perché è giusto finirla così, con noi insieme dentro allo stadio e tutto il mondo fuori.