Neil Young e i Crazy Horse sono stato costretti a sospendere il Love Earth Tour. «Un paio di noi si sono ammalati dopo il concerto al Pine Knob di Detroit e dobbiamo fermarci tutti», si legge in un comunicato pubblicato su Neil Young Archives. I problemi salute non sono ancora stati risolti e di conseguenza «ci prenderemo una pausa non programmata dal tour. Col tempo cercheremo di recuperare alcune delle date che ci mancano quando saremo nuovamente pronti». Oltre a ringraziare per la comprensione e pazienza, Young e i suoi scrivono che «la salute è al primo posto».
Lo è specialmente se hai superato una certa età. Coi grandi della prima ondata rock anni ’60/’70 che tengono duro e vanno ancora in tour pur avendo tra i 70 e gli 80 anni (alcuni li hanno superati, vedi Mick Jagger o Bob Dylan), i casi di concerti cancellati per problemi di salute sono sempre più frequenti.
Tra i casi più recenti, quello di Willie Nelson, che ha 91 anni ed è quindi un mezzo miracolo che vada ancora in tour, che ha saltato alcune date dell’Outlaw Music Festival su consiglio dei medici, e quello di Bruce Springsteen che ha da poco annunciato il recupero nel 2025 dei concerti che non ha tenuto nel 2024 per problemi alla voce, dopo aver cancellato nel 2023 una parte di tour con la E Street Band a causa di un’ulcera peptica.
Nel passato più o meno recente, molti performer hanno dovuto sospendere, rimandare o cancellare tour, da Madonna agli Aerosmith. Altri come Ozzy Osbourne e Paul Simon stanno alzando bandiera bianca perché non riescono più a reggere la vita in tour che è, come diceva Robbie Robertson nel film di Martin Scorsese The Last Waltz, «uno stile di vita impossibile». All’epoca Robertson citava i musicisti che «la strada» si è presa, da Hank Williams a Elvis Presley. In tempi più recenti è significativo il caso di Tom Petty, morto per le conseguenze dei farmaci antidolorifici che prendeva in abbondanza pur di soddisfare i fan che lo volevano in concerto.
Mark Knopfler, 75 anni ad agosto, ha spiegato in questa intervista che non andrà più in tour per «passare più tempo a casa a scrivere e poi andare in studio e fare il disco. Sento che è un modo più produttivo di impiegare il tempo. Quando sono on the road invece mi riduco a scrivere nelle prime ore del mattino o tra un concerto e l’altro o tra una città e l’altra. Non è l’ideale. Di sicuro scrivere canzoni nel bel mezzo della notte è un modo per non dormire abbastanza».
Già quattro anni fa, in questo articolo del Guardian, ci si chiedeva quali potevano essere le conseguenze dell’invecchiamento dei musicisti rock sull’industria dei concerti, oltre naturalmente a quelli che ricadono su artista, organizzatore e fan quando un evento viene cancellato o rimandato. Se è vero che star trenta-quarantenni come Taylor Swift o Beyoncé non faticano a riempire gli stadi in tutto il mondo (da noi lo stanno facendo anche artisti pop e rap italiani che un tempo non facevano grandi numeri), la lenta uscita di scena dei rocker può significare la fine di un segmento di mercato che può contare su un pubblico non più giovanissimo. È il pubblico disposto a spendere cifre notevoli per vedere dal vivo musicisti di classic rock, ma che per vari motivi non andrebbe mai a un concerto di un artista emergente. Gli acciacchi di Bruce Springsteen e i problemi di udito di Paul Simon sono il mesto annuncio della fine di un’epoca.