Come ogni anno, il grosso di Club To Club si consuma fra il venerdì e il sabato. Le analogie con le edizioni passate del festival però finiscono qui.
Sotto più punti di vista, che vanno da una line up incredibilmente visionaria a golosissimo programma di conferenze/eventi satellite nello spazio del Symposium (Absolut quest’anno ha esagerato con le secret room all’interno dell’albergo, spettacolari), l’edizione 2016 è stata finora la più riuscita. Fra questi talk, venerdì pomeriggio si è tenuto anche quello di Rolling Stone con Charlie Charles e One Circle, il collettivo elettronico formato da Lorenzo Senni, Vaghe Stelle e A:Ra. Moderati dal direttore Robertini e ripresi in diretta streaming, i quattro hanno potuto dire la loro sul ruolo del produttore. Con un taglio piuttosto informale, oltre che trasversale rispetto ai generi musicali. Gli One Circle a un certo punto hanno anche approfittato per lanciare la bomba: l’invito alla Dark Polo Gang, collettivo trap de Roma, di esibirsi insieme a loro la sera stessa al Lingotto.
«È la terza volta che suoniamo al Club To Club» mi confida Senni più tardi. «Perciò ci siamo inventati l’invito alla Dark Polo per movimentare un po’ le cose.» Idea geniale, live riuscitissimo. Così come quello degli Swans, ormai risorti dalle ceneri sei anni fa. Incredibili anche Toxe, Mura Masa, Powell (matto come un cavallo) e Gaika-continuo a sostenere che il suo Spaghetto EP sia la cosa migliore uscita su Warp nell’ultimo anno. Peccato solo non essere riuscito ad avvicinarmi alla sala gialla per il primo live italiano degli Amnesia Scanner, coppia elettronica di Berlino che unisce la violenza di Arca agli strumentali di Travis Scott.
Il motivo è una presenza assillante di polizia e carabinieri, inflessibili nel fare rispettare la capienza legale della sala creando così code, sovraffollamenti. “È per la sicurezza”, mi risponderà qualcuno ma, a me, ‘sta cosa di essermi perso gli AS, ancora non è andata giù. Incredibile invece il live degli Autechre, che in un main stage completamente al buio hanno preso la mia mano e quella delle altre migliaia di persone nella sala per condurci nel futuro, dove la musica è impulso, design del suono e nessuna struttura dei vecchi secoli pone limiti al brano. Disturba un po’ qualche fischio di gente che evidentemente era rimasta intrappolata nel gigantesco hangar dalle sere prima, quelle del Movement.
Completamente diversa è stata la serata successiva. Ghali si è rivelato l’artista immenso che merita di essere mostrandosi sicuro e capace davanti a un pubblico che non era il suo in un contesto completamente diverso dai suoi live. Una piacevolissima mezz’oretta di “UOUOU BELLA” e di “COME STO” che ha fatto da entrée al primo grande act della serata di sabato: Junun. Non so chi di preciso fra Jonny Greenwood e Shye Ben Tzur abbia avuto l’idea di radunare nove musicisti del Rajasthan e fare una cosa a metà fra la musica classica indiana e i Radiohead, di cui Greenwood è il chitarrista. Fatto sta che l’ensemble sul palco crea una miscela esplosiva e il pubblico, compreso il sottoscritto, si ritrova immediatamente anestetizzato da ritmi inebrianti, ancestrali. Pura dinamite.
Il programma della serata prosegue con ospiti ben più consoni al format del festival (vedi il visual show di DJ Shadow e i quarti di cassa sparati da Jon Hopkins) ma è chiaro che Junun al pari con gli Autechre sia rimasto uno dei momenti più alti di un festival che mette quasi malinconia da quanto è bello. Come quando trovi una ragazza perfetta sotto ogni aspetto e in cuor tuo senti già fischiare il treno di emozioni che ti investirà quando vi lascerete. Oggi, fra i live in Piazza Madama Cristina e all’Astoria, C2C si chiuderà almeno per quest’anno, dopo cinque giorni intensi. Sento in lontananza uno sferragliare su rotaie.