La notizia che nessuno s’aspettava di dover dare fino al 7 maggio: è uscito oggi il primo album degli Shellac dopo la morte di Stevie Albini. L’uscita di To All Trains era stata annunciata a marzo e fissata per oggi, ma nessuno pensava che il musicista ci avrebbe lasciati nel frattempo a causa di arresto cardiaco. È il sesto lavoro della band di Albini col bassista Bob Weston e il batterista Todd Trainer.
Lungo 28 minuti, fedele alla musica post-post-hardcore del trio, To All Trains è stato registrato e mixato all’Electrical Audio di Chicago, lo studio di Albini, nel corso di alcuni «lunghi weekend» a novembre 2017, ottobre 2019, settembre 2021 e marzo 2022. Lo si trova sui servizi di streaming.
L’album prende il nome dalla scritta “to all trains” vista da Albini alla Union Station di Chicago e poi fotografata da Weston per la cover. È il primo disco del gruppo da Dude Incredibile uscito dieci anni fa.
In un’intervista concessa dal trio a The Wire tre settimane prima della morte, Albini spiegava che gli Shellac sono durati tanto perché «non abbiamo mai permesso che diventasse un obbligo o una seccatura per nessuno di noi. Avevamo il disco fatto e finito diversi anni prima che uscisse, ma sono successe un sacco di cose. Sai, il Covid, i tour interrotti e poi ci sono stati dei ritardi enormi nella stampa e volevamo che l’artwork fosse perfetto. C’è voluto del tempo».
E ancora: «Preferisco che le band che amo siano soddisfatte e orgogliose di quel fanno anche se significa metterci cinque anni più piuttosto che far uscire della spazzatura solo perché c’è un tour alle porte e il disco dev’essere fuori».
Gli Shellac erano anzitutto amici e il fatto che non fosse il loro impiego principale giocava a favore della band. «Ci piace stare assieme, fare musica, concerti, scrivere e registrare, è questa l’essenza del gruppo», diceva Albini. «Cerchiamo di trovare il tempo per farlo. Abbiamo tutti impegni e complicazioni nella vita e quindi dobbiamo ritagliarci del tempo per la band, ecco che cosa ci spinge a farlo. Se lo facciamo, è perché lo vogliamo davvero, perché pensiamo sia importante».
Albini, che nell’intervista spiega che non hanno un ufficio stampa, un avvocato o un manager per non delegare ad altri le decisioni, fosse anche il prezzo delle t-shirt nei club, dice che negli Shellac tutti possono proporre idee anche bizzarre su cui lavorare. «È fondamentale della band accogliere queste stranezze distintive del nostro modo di suonare. Iniziamo con un’idea e poi vediamo che succede. La maggior parte di quel che facciamo, lo facciamo proprio per vedere come andrà a finire, non per raggiungere chissà quale obiettivo».
Albini era convinto che sarebbe diventato «una persona orribile» se fosse cresciuto in questo tempo in cui «ti fai un video con l’iPhone mentre canti e lo posti su YouTube e magari diventi una star internazionale» perché la cosa avrebbe fatto leva sulla sua vanità. Essersi formato nella vecchia scena punk «mi ha temprato e mi ha reso razionale, mi permette di essere a mio agio con meno cose».
Gli Shellac avrebbero dovuto esibirsi al Primavera Sound, una tradizione per la band che ha suonato al festival 14 volte. «Il gruppo» si legge nella presentazione del disco scritta prima della morte di Albini «continuerà a fare concerti o tournée sporadicamente e con lo stesso ritmo rilassato di sempre. Non c’è alcuna correlazione tra gli show dal vivo e le uscite discografiche». Sigh.