Non capita tutti i giorni di sentire Elio, cioè Stefano Belisari, parlare di sé, della propria vita e della carriera sua e degli Elio e le Storie Tese. Ok, c’è senz’altro la vicenda di suo figlio Dante, autistico, con cui da anni combatte una battaglia per il riconoscimento di quel disturbo da parte dello Stato; ma il bello dell’intervista di Walter Veltroni sul Corriere della Sera è che tocca tanti temi, a partire da un’analisi del suo percorso e del suo umorismo – cosa che, nel tempo, la sua maschera comica ha un po’ impedito.
L’occasione è quella del cosiddetto Concertozzo di beneficenza – una piccola tradizione, è in programma il 26 maggio a Monza, ci sarà anche il Trio Medusa e «la gente suonerà davvero, senza autotune e diavolerie simili» – e del prossimo tour estivo. Ma insomma, ma Elio e le Storie Tese non si erano sciolti? «Ma no, ci piace scimmiottare i grandi gruppi che si sciolgono con facilità e poi magari fanno un’ultima tournée della reunion che dura dieci anni», ha scherzato.
Tra i momenti migliori di una carriera che comunque qua e là ha seminato trappole («Abbiamo avuto un successo lungo, che non sempre è una buona cosa, ci si può impigrire»), le partecipazioni al Festival di Sanremo nel 1996 e nel 2013, rispettivamente con La terra dei cachi e La canzone mononota. «Lo avvertivamo come un servizio pubblico da compiere. Sapevamo che esisteva un pubblico fatto di persone come noi e volevamo rappresentarlo», ha detto riferendosi alla prima volta, quand’erano ancora dei sabotatori, al punto che il secondo posto finale del 1996 finì al centro di un’indagine. Una manina, forse, aveva manomesso le schede con i voti, per impedirgli di vincere a discapito di Ron e Tosca con Vorrei incontranti fra cent’anni: sarebbe stato un oltraggio. «Sono stato interrogato», ha raccontato. «Alla fine il carabiniere mi disse, off the record, che avevamo vinto noi, che erano state trovate schede sbianchettate. Giorgia mi disse che anche a lei avevano riferito la stessa ipotesi. Non ci interessava. Eravamo andati lì per rompere le balle e ci eravamo riusciti».
Tra le altre, grandi «rotture di balle» ci fu quando al Concertone del 1991 improvvisarono un pezzo, poi ribattezzano Sabbiature, in cui raccontavano scandali e intrighi a corte di una Prima Repubblica prossima al crollo. «Alle prove, il giorno prima, indossammo i panni dei bravi ragazzi, eseguimmo un repertorio classico. Ci fecero giurare che ventiquattr’ore dopo non ci saremmo mossi da lì. Poi però iniziammo un orrendo rap che raccoglieva tutte le informazioni pubblicate sui giornali in quel tempo su Andreotti, Cossiga, Ciarrapico. Interruppero la diretta e diedero la linea a Vincenzone Mollica. Quando arrivarono sul palco gli organizzatori per farci smettere, mi buttai per terra urlando: “Come Jim Morrison!”. Ci siamo chiusi in camerino, in attesa che accadesse qualcosa. Vedemmo dei carabinieri e ci dicemmo: “Ci siamo”. Invece volevano una foto». La verità, ha continuato, è che «ci divertivamo a creare situazioni di tipo futurista, volte a provocare reazioni nel pubblico. Ci piace che sia vivo, partecipi, abbia emozioni. Il mio incubo è vedere gente addormentata».
Il momento più difficile è stato invece la morte di Feiez, il polistrumentista del gruppo scomparso a 36 anni, per un’emorragia cerebrale, durante un concerto di un progetto parallelo, a cui partecipava anche Elio, nel dicembre del 1998: «Quando crollò, suonando, ebbi la sensazione che se ne fosse andato un pezzo di me, che nulla sarebbe stato più come prima».
In generale, però, Elio dà la sensazione di non divertirsi più tanto a prescindere. «Sono tutti con il freno a mano tirato, impauriti dal Grande Tribunale Sempre Aperto dei social che tutto giudica e condanna, che sanziona tutto quello che si permette di uscire dai canoni prefissati, non si sa bene da chi. Non c’è mai stato un periodo così bigotto, così conservatore». Sulla sua partecipazione a LOL nel 2020, per esempio, ha ricordato come «la gente ci ringraziava perché l’avevamo fatta ridere. Come fossimo dei salvatori dalla tristezza incipiente. Un tempo ci si divertiva tanto. Negli anni Settanta c’erano il terrorismo, la droga, i sequestri. Ma ridevamo come pazzi». Il suo preferito, tra i volti di oggi, è Valerio Lundini, che «ha quel tipo di comicità lunare, imprevedibile» che lo riporta ai suoi miti, cioè «Cochi e Renato, Jannacci, Mel Brooks, i Monty Python, Frank Zappa», ma anche gli Skiantos.
Sull’autismo di suo figlio, infine, ha raccontato che è stata la moglie a notare i primi comportamenti sospetti nel figlio, specie perché la coppia ha due gemelli e il confronto era inevitabile. «È stato difficile trovare qualcuno che sapesse farci una diagnosi chiara e che ci indirizzasse. Manca un protocollo che una mamma e un papà possano seguire, che funzioni da bussola in quel maremoto. Devono cercare con il lanternino, da soli, nel dubbio di non aver trovato persone e soluzioni giuste». E ancora: «Ora Dante ha 14 anni, ed è consapevole. Anche troppo, lo dice continuamente. Ha fatto un lavoro impressionante, una fatica struggente. Per lui tutto è stato fatica: mettersi una maglietta, andare in bagno, parlare. Tutto gli è stato insegnato. Lui ha faticato tanto, ma noi ci siamo potuti permettere che fosse seguito. Ma chi non ha i soldi? Anche qui, proprio quando la mano pubblica dovrebbe riequilibrare le differenze, invece si accentuano le diseguaglianze sociali».
Molte delle associazioni private che si occupano del disturbo si ritroveranno al Concertozzo, insieme a genitori di ragazzi autistici. «Condivideremo anche esperienze fantastiche come quella di PizzAut — fondata da Nico Acampora, padre di un ragazzo autistico — che sta diventando un vero fenomeno. Invece di far stare i ragazzi in istituto, lui ha pensato di occuparli in ristorante e ora sta progettando 107 mezzi mobili con a bordo di ciascuno cinque ragazzi autistici. Non è bellissimo? Così producono persino reddito, diventano contribuenti. Il presidente Mattarella, con la sensibilità che conosciamo, ha voluto segnalare questa esperienza eccezionale. Ma è un padre ad averla inventata. La politica, i governi, non pervenuti».