Il problema è che dei dischi pop italiani mainstream non si può dire mai nulla. Se scrivi che è bello, non capisci un cazzo di musica, sei un venduto, ti ha pagato la major. Se scrivi che fa schifo, allora sei un hater, rosicone, tanto chi ti legge che l’editoria è morta. Scioperi o sei un crumiro. Non puoi certo stare a metà. Ecco, però, il nuovo disco di Elisa si incastra proprio lì. Precisamente a metà. E che facciamo adesso?
Mi è concessa una sola domanda nella round table organizzata per l’uscita. Il tempo è manipolato completamente da una giornalista/fan che non smette di ripetere ad Elisa quanto questo lavoro l’abbia commossa. In senso positivo, ribadisce tre volte. Il problema è che all’unica domanda “quali sono state le ispirazioni musicali per la produzione di questo disco?”, la popstar triestina si perde – ma qui faccio mea culpa – a parlarmi di un arrangiamento di Mace che non compare su disco, prima di essere rapita nuovamente dalla solita fan in escandescenza.
Dicevo, Diari Aperti è un disco a metà. Questo perché Elisa, a volte, non fa altro che essere l’Elisa che conosciamo. E di certo ha le sue onestissime ragioni: il pubblico la ama. Ma ciò che rende interessante i suoi lavori è che, in certi episodi, decide di evadere dalle regole. Anche in Diari Aperti si percepisce una voglia di rimettersi in gioco. Non c’è nulla del buon esperimento estivo del concerto per Campari Spritz con Cosmo e Marracash, ma ci sono episodi che fanno tirare una buona boccata d’ossigeno. Un trittico di brani risalta proprio per la naturale freschezza. Confrontandomi, Elisa concorda su questa analisi, anche se divergiamo sulla terza traccia in questione. La prima è l’opening track Tutta Un’Altra Storia, col suo ritmo in levare, un’evoluzione del mondo Gazzè, Silvestri, Fabi, citati da Elisa tra le migliori penne della loro generazione. Segue L’estate È Già Fuori, calypso pop, fresco, tutto in maggiore, fottutamente appiccicoso, una sferzata di positività inattesa, anche per l’interessante utilizzo della reiterazione melodica del cantato. Per Elisa, il terzetto viene concluso dall’ukulele di Vivere Tutte Le Vite, forse meno intrigante per il suo strizzare l’occhio ad un periodo un po’ superato dell’indie italiano e a cui preferisco senza dubbio Come Fosse Adesso, un’elegantissima composizione che rimanda allo splendido lavoro sulla canzone d’autore portato avanti da Riccardo Sinigallia in dischi come Ciao Amore e Per Tutti.
L’itpop arriva inesorabile nel singolo scritto con Calcutta (non strabiliante, forse per la produzione tutta archi e pathos, così dentro la tradizione italica da schiacciare testo e melodia), e si manifesta esteticamente in un linguaggio che riesce, in certe occasioni, a fuggire le briglie del vecchio pop per tentare un approccio contemporaneo alla scrittura. Ma il brano più matto, più punk, è sicuramente la collaborazione con Francesco De Gregori che, a pari dei dischi pop italiani, se ne parli bene sei un vecchio nostalgico, e se ne parli male sei un giovane irrispettoso. Sta di fatto che sentirli armonizzare ci avrete preso per coglioni è fighissimo.
Tutto è più diretto, sincero, autobiografico, nulla è da interpretare, ma è spiegato, in tono intimo, in quel dialogo con te stessa tipico del diario, Elisa ci racconta così il rapporto con Diari Aperti. Proprio da spezzoni di queste raccolte che, sin da piccola, l’hanno aiutata a mantenere una traccia per ripercorrere chi sono stata e cosa ho pensato, nascono brani come Promettimi, Quelli Che Restano e Fragile, dove una produzione musicale fin troppo canonica concede intera attenzione all’intimità di questi testi. Diari Aperti è, tra l’altro, il primo disco di Elisa per la Universal, che chiude la collaborazione ventennale con la Sugar Music e Caterina Caselli, la persona che la convinse a registrare il suo primo album completamente in italiano, L’anima vola.
Elisa è brava, su questo non c’é mai stato alcun dubbio. Personalmente però mi augura possa essere la prima artista della vecchia scuola a mollare completamente certe sicurezze per esprimersi in qualcosa di completamente nuovo. Questo perché i brani dove tenta qualcosa in più sono sempre quelli meglio riusciti. E non ci sono cazzi: ha il talento, la voce, il coraggio per farlo. Che sia in italiano o in inglese, davvero poco importa. Ha la possibilità di fare qualcosa di matto, forte, impensabile per la scuola pop italiana in cui è cresciuta. Perché il rischio, col passare degli anni, è perdere pian piano quella voglia di tentare un salto artistico per adagiarsi su certe abitudini. Ma dove c’è il rischio, c’è la possibilità di cogliere un’occasione gigantesca. E sarebbe stimolante che Elisa la cogliesse appieno, e non a metà.