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Era come un padre: il mondo del rock ricorda John Mayall

I tributi al padrino del British blues da parte di Mick Jagger, Steven Van Zandt, Mick Fleetwood, Geezer Butler, Ronnie Wood, Walter Trout. E ovviamente Eric Clapton: «M’ha salvato dall’oblio»

Foto: Harry Herd/Redferns

Dopo la morte di John Mayall, le parole più attese erano quelle di Eric Clapton, che il musicista scomparso lunedì ha accolto nei Bluesbreakers tra l’esperienza con gli Yardbirds e prima di quella coi Cream.

«Lo voglio ringraziare per avermi salvato dall’oblio», dice in un videomessaggio. «Avevo 18 o 19 anni e avevo deciso di smettere con la musica. M’ha trovato, m’ha portato a casa sua, m’ha chiesto di entrare nella sua band. Da lui ho imparato tutto quel che so in termini di tecnica e desiderio di suonare la musica che voglio. Ho studiato a casa sua, sulla sua collezione di dischi».

E ancora: «Mi ha infuso il coraggio e l’entusiasmo necessari per esprimermi senza timori, senza limiti. L’unica cosa che gli ho dato in cambio è stato quant’era divertente bere e andare a donne quando già aveva una famiglia. Di questo chiedo perdono. Mi mancherà. Spero di rivederlo dall’altra parte. Grazie John, ti voglio bene, ci vediamo presto, ma non subito».

Quello del chitarrista non è certo l’unico tributo al padrino del British blues. «Che tristezza apprendere della morte di John Mayall», scrive Mick Jagger. Com’è noto, nei Bluesbreakers ha suonato Mick Taylor, che è poi finito nei Rolling Stones. «È stato un grande pioniere del British blues e aveva un istinto notevole per i giovani talenti, tra cui Mick Taylor, che mi ha raccomandato dopo la morte di Brian Jones, dando inizio a una nuova era per gli Stones».

A proposito di Stones, anche Ronnie Wood ricorda Mayall come un amico e «una figura storicamente rilevante nella scena blues inglese. Ha fatto crescere tanti chitarristi di talento tra cui Peter Green, Eric Clapton, Mick Taylor. Era un’enciclopedia vivente del blues americano e inglese e un pioniere per tutti noi».

Un altro dei talenti passati per la band di Mayall è Mick Fleetwood. «È un po’ come perdere un padre musicale», scrive. «Ha rappresentato una guida per tanti di noi giovani musicisti inglesi. Suonare con lui nei Blues Breakers ha spinto me, Peter Green e John McVie a formare i Fleetwood Mac nel 1967».

Geezer Butler dei Black Sabbath ricorda in particolare l’album con Clapton che «ha ispirato moltissime band britanniche. Non è esagerato dire che senza quel disco non ci sarebbero stati i Black Sabbath e sicuramente non la Polka Talk Blues Band», ovvero il gruppo pre-Sabbath noto però come Polka Tulk Blues Band.

Walter Trout posta una foto scattata a novembre al novantesimo compleanno di Mayall. «Non sapevo che era l’ultima volta che l’avrei visto. È stato come sempre divertente, generoso e gentile. È e sarà per sempre il mio mentore. Abbiamo perso un gigante. Gli volevo e sempre gli vorrò bene come si vuol bene a un padre».

Se Joe Bonamassa lo ricorda con un «riposa in pace, amico mio», Steven Van Zandt della E Steen Band di Bruce Springsteen (e non solo) lo inquadra dal punto di vista storico in una dichiarazione concessa a Rolling.

«È stato Alexis Korner (1928-1984), il bramino del British blues che ci ha dato i Rolling Stones, i Cream, Manfred Mann, i Free, i Led Zeppelin, Rod Stewart e un’altra dozzina di artisti della British Invasion, a incoraggiare e fare da mentore al giovane Mayall, convincendolo a condurre la buona battaglia e a continuare sulla strada del blues, una tribù piccola e in via di estinzione fin dal principio. Mayall ha preso l’eredità dei concerti di Korner e l’ha messa nei dischi, diffondendo il vangelo del blues in tutto il mondo».

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