«La fai sempre così?», James Hetfield chiede a Lars Ulrich con un po’ di tensione nella sua voce. I due si stanno confrontando nella Tuning Room, dove di solito fanno le prove finali prima dello show. Stanno cercando di mettere a punto il loro classico del 1991 Wherever I May Roam, ma Ulrich sta suonando un ritmo un po’ troppo particolare. Quindici anni fa, questa discussione si sarebbe trasformata in una lunga e dolorosa sessione di terapia di gruppo. Ma oggi, Hetfield lascia perdere e dice a Ulrich di suonare come preferisce, scambiando sorrisi con il resto della band.
Così troviamo i Metallica alle prese con il loro primo tour in Nord America degli ultimi otto anni (e il primo negli stadi degli ultimi 20): rilassati e sciolti, ma anche molto attenti a non ferire i rispettivi sentimenti. «Sappiamo quali tasti toccare per sganciare le bombe tra di noi, ma evitiamo di schiacciarli», dice Hetfield più tardi. «Ci piace quello che facciamo, e vogliamo continuare così».
Mancano 20 minuti alla prima serata del lungo tour, al M&T Bank Stadium di Baltimora. La band è arrivata presto questo pomeriggio, dirigendosi subito verso il meet and greet con i fan, che hanno pagato 2499 dollari per una foto, uno scambio di battute e una visita alla mostra Memory Remains, dove si trovano i vestiti della band, alcuni rari testi scritti a mano e una selezione di strumenti che i fan possono suonare («È una cosa inedita per noi e, mi permetto di dire, un po’ forzata», dice Ulrich a proposito del pacchetto VIP. «Quindi abbiamo dovuto trovare il luogo adatto per fare tutte queste cose»).
Dopo l’incontro, il chitarrista Kirk Hammett si è messo a fare un po’ di yoga e Ulrich ha compilato la scaletta. «Di solito raccolgo tutte le informazioni riguardo all’ultimo concerto fatto in città e cerco di inserire alcuni pezzi meno famosi che non abbiamo suonato la volta precedente», dice.
Sono un ragazzo in un corpo da adulto. Se posso avere fiamme da 10 metri e non da due, perchè limitarmi?
Dopo 36 anni, la band ha fatto del tour una scienza esatta: due settimane in giro, due di pausa. Di solito si fermano nella città più grossa vicino a dove suonano – questa sera voleranno su New York, giusto in tempo per concedere a Ulrich una festa di compleanno in ritardo a Brooklyn. Ma Hetfield non ci sarà; andrà nel New Jersey in un poligono di tiro, per «scaricare un po’ di rabbia».
Negli anni passati dall’ultimo tour negli Stati Uniti, la band si è tenuta impegnata, suonando per i tostissimi pubblici europei e sudamericani, mentre pensava ai prossimi colpi creativi. Lulu, il disco del 2011 con Lou Reed, ha avuto recensioni mediocri. La band ha creato il suo festival, Orion Music + More, e ha finanziato Metallica Through the Never, un film-concerto in 3D. Entrambi i progetti sono stati una manna per i fan, ma una perdita economica.
Nel 2012, hanno lasciato la Warner Bros. e fondato la loro indie label per pubblicare Hardwired… to Self-Destruct nel 2016. L’indipendenza che hanno raggiunto ha avuto come effetto arrangiamenti più selvaggi e sessioni in studio più movimentate (l’unico intoppo è stato quando Hammett ha perso il suo iPhone con, all’interno, migliaia di idee per nuove canzoni. Si vergogna ancora quando ne parla, ma nel frattempo ha imparato a usare il cloud).
Il sistema ha funzionato: Hardwired è arrivato in cima alle classifiche, guadagnando il disco di platino negli Stati Uniti, e la band ha iniziato a suonare parecchie delle canzoni del disco dal vivo: la furia di Halo on Fire è diventata un nuovo inno per i fan, e Atlas, Rise! è una distorsione ritmica che trasforma lo snake pit – la piccola area sotto il palco – in un delirio di corpi (Hetfield si stupisce di quanti giovani ci siano tra il pubblico).
Lo show è la più grande produzione della loro storia. Usano 48 camion per spostarsi, il palco ha bisogno di tre giorni per essere montato, con laser, palloni e più di 300mila watt totali di audio e una passerella circolare che porta a un minipalco dove la band suona Seek and Destroy, per ricreare l’atmosfera da garage che c’era ai tempi in cui l’avevano scritta.
Durante Fuel, un pezzo che ha ormai 20 anni, Hetfield grida mentre fiamme alte dieci metri si levano attorno a lui. «Sono un ragazzo in un corpo da adulto, quindi se posso avere fiamme da 10 metri e non da due, perché limitarmi?», dice ridendo.
Il suo momento preferito è durante il nuovo pezzo Now That We’re Dead: la band si raccoglie dentro un cerchio fatto di batterie, picchiando su dei giganteschi Taiko giapponesi all’unisono. «Non so se funziona o meno, ma mi piace tantissimo», dice Hetfield. «Sognavo da tempo di poter fare una cosa del genere». «Do you want heavy?», chiede prima di lanciarsi su Sad but True, l’inizio di un’infilata di hit che si chiude con Enter Sandman. «In qualche modo doveva essere alla fine», dice Hetfield. «È LA canzone».
Subito dopo la band lancia plettri e bacchette al pubblico e ringrazia di cuore, prima di correre verso l’aeroporto. «È come se fosse il 1993 di nuovo», dice Hammett, che a volte si chiede come i Metallica siano riusciti a sopravvivere a tutte le band hard rock.
«Ce ne sono pochi in giro che suonano ancora a un livello simile a quello dei primi tempi. È strano, cos’è successo a tutti quanti? Hanno mollato? Il pubblico non è più con loro? Ci sarebbero un po’ di domande da farsi, sul perché loro non sono qui e noi sì. E mi sento incredibilmente fortunato».