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Francesco Guccini: «Non ascolto più musica»

Insieme al cantautore siamo entrati nelle osterie della sua Bologna, dove fra la commozione ci ha raccontato di quando il vino costava 25 lire, prima di ‘Auschwitz’ e ‘Dio è Morto’, ricordando gli amici Bonvi e Dalla

Francesco Guccini, foto via Facebook

Per tornare nelle sue memorie del sottosuolo, Guccini scende i 16 scalini al civico 2 del vicolo delle Dame, nel cuore di Bologna. Per arrivare lì sotto si deve abbassare, per non sbattere la testa. Come cinquant’anni fa o quasi, quando all’Osteria delle Dame si ritrovava con Flaco Biondini per suonare su un palchetto, a ridosso della grande colonna centrale del locale, che, insieme a frate Michele Casali, aveva aperto nel 1970. Si guarda intorno come disorientato, perché oggi i suoi occhi non vedono più come allora: sono passati 32 anni dall’ultima volta che era sceso qua sotto per suonare.


Era il 19 gennaio del 1985, e lui era già il Guccini di Scirocco, Argentina, Signora Bovary, Bologna. Le infilava tutte con la chitarra, inframmezzandole con esilaranti introduzioni, battute, pause. Oggi quei giorni sono tornati alla luce, grazie al recupero dei nastri. «Intendiamoci, non sono i rotoli del Mar Morto», ride Guccini, rigirando tra le mani il doppio cd L’Ostaria delle Dame. L’occasione è la riapertura del locale, diventato un’associazione culturale. «Torniamo dopo una “chiusura per turno” di trent’anni», spiega l’avvocato Andrea Bolognini, che ha rimesso in sesto il locale, adeguandolo alle norme di sicurezza. Il ritorno dell’artista all’Osteria delle Dame è un evento non solo per chi lo segue da sempre – più di 50 anni: Auschwitz è del 1966 –, ma anche per lo stesso Guccini.

Quando sale sul piccolo palco per rispondere alle domande, si commuove fino alle lacrime. «Scusate», dice col fazzoletto in mano. «Ripensavo a una Bologna che non c’è più, molti degli amici che stavano qui non sono più tra noi». Alle sue spalle le foto in bianco e nero di Bonvi, Dalla, Bertoli. Si suonava per ore, fino a tardi. «Si beveva vino di due tipi: bianco e rosso. Un bicchiere costava 25 lire e così un uovo sodo». La storia è passata tra quei muri, anche se lui ci scherza su. Ma il recupero delle registrazioni non è un’operazione nostalgica, e lo capisci quando schiacci play per ascoltare i cd. Anche se non c’è la pulizia del suono digitale, l’effetto è emozionante: dalle prime canzoni fino a Bisanzio, da Incontro a Il vecchio e il bambino. «Erano dei veri concerti, con prezzi modici», racconta Guccini.

Le osterie erano i luoghi dove la sua Bologna si raccontava: l’Osteria dei Poeti, a due passi da via Paolo Fabbri, poi quella fuori Porta D’Azeglio (l’osteria di fuori porta della canzone). L’Osteria delle Dame all’inizio era il luogo in cui ritrovarsi per suonare, giocare a carte, bere vino. Poi, alla fine degli anni ’70, la musica dal vivo. «Era bello suonare in pubblico, sentire il boato: era sempre un esame da superare. Anche fisicamente era impegnativo. Pensa che io ho iniziato a cantare sul palco seduto, e con l’età, mi sono alzato in piedi. È stata una gran fatica. Ora non suono più, non ho più i calli sui polpastrelli, non so fare più gli accordi. Le mie chitarre sono appoggiate in un angolo. Ma ogni tanto le guardo, eh».

Francesco Guccini durante una partita a carte nel 1972 all’Osteria delle Dame di Bologna


Guccini è passato da tempo alla letteratura: Cròniche epafàniche, il primo libro, è del 1989, poi la lunga serie di gialli con Loriano Macchiavelli, l’ultimo dei quali, Tempo da Elfi, è dello scorso settembre. Adesso fa solo quello. «Oggi non ascolto più musica, quando mia moglie Raffaella in macchina mette su un cd, lo spengo», racconta. «Se riascolto i miei dischi, le mie canzoni? Per l’amor di Dio! Ce ne sono alcune che mi sembrano riuscite meglio. Io sono convinto che Auschwitz e Dio è morto, tecnicamente parlando, siano inferiori a Bovary, Van Loon, Amerigo. Ma hanno una forza che le altre non hanno».

C’è tempo anche per racconti inediti, nella mattinata all’Osteria delle Dame. «Una volta, secoli fa, mi hanno chiesto una canzone per Sanremo. “Va bene ma va modificata”, mi dissero». Firmata da Pace, Panzeri, Pontiack (Guccini non era iscritto alla Siae, e i suoi brani erano firmati Pontiack-Verona, compresi Auschwitz e Dio è morto), fu cantata da Gigliola Cinquetti col titolo Una storia d’amore. Selezionata per il Festival di Sanremo del 1967, fu eliminata. «Ricordo dei versi agghiaccianti. Peccato, i miei erano carini», dice serio. E i effetti frasi come “La mia storia d’amore io la difenderò tutta la vita, e tanti sono i sogni, mi abbracci ridendo, mi abbracci e poi taci, mi abbracci e io sento il fuoco dei tuoi baci” non valgono per intensità quelli di Scirocco.

Nella raccolta L’Ostaria delle Dame è proposta la versione live del 1985 della canzone, poi contenuta nel disco Signora Bovary del 1987. Nel booklet, Guccini conclude il racconto di quei giorni così: «L’Osteria è chiusa da allora. A quei tempi ogni tanto usciva da chissà dove una grossa pantegana che, fra le grida di tutti, si aggirava fra le sedie, imperturbabile. Chissà se ora c’è un suo discendente che sbuca, si guarda intorno e, fra sé e sé, dice: “ma dove sono finiti tutti quelli che c’erano prima?”».

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