Questa settimana Michael Jackson ha dovuto fare un po’ di spazio sul suo trono. Ora lo dovrà condividere con Post Malone, che ha battuto un record che il Re del Pop deteneva da 34 anni. Stoney, l’album del rapper 23enne – un nome che prima si è insinuato lentamente nella scena, e poi è esploso all’improvviso nel mainstream – è stato nella Top 10 di Billboard dedicata all’R&B e Hip-Hop per 77 settimane, una in più delle trionfanti 76 registrate da Thriller negli anni ’80.
Non è un caso. Beerbongs & Bentleys, il secondo album di Malone, è l’album più di successo del 2018, e ha appena battuto un record fino ad ora mantenuto dai Beatles; prima che Drake pubblicasse il suo esagerato doppio Scorpion, Beerbongs regnava solitario e distruggeva un record di streaming dopo l’altro sia su Spotify che su tutte le altre piattaforme. E guardando le classifiche di questa settimana, è facile notare come alcune tracce di Stoney (uscito nel 2016) siano consumate ancora oggi, una lunga coda insolita nell’era dello streaming iperaccelerato.
Ma mentre Thriller e il suo autore erano incredibilmente popolari – e non solo in una fascia demografica, ma in tante contemporaneamente – le conquiste di Malone sono state tutte accompagnate da un coro di disapprovazione di pubblico, critica e media. Di solito suonano così: Malone non prende la sua musica e se stesso sul serio, ed è una figura negativa per tutti quelli che cercano il successo genuinamente. Ha scelto il suo nome d’arte – si chiama Austin Richard Post – grazie a un rap name generator online; e continua a rilasciare dichiarazioni iper-divisive, come quando ha detto a GQ che essere un rapper bianco era una dura lotta, o quando ha dichiarato a un giornalista polacco che «chi cerca di pensare alla vita non dovrebbe ascoltare hip-hop».
Gran parte del suo fascino è dovuto proprio a questa attitudine senza peli sulla lingua, che attrae un pubblico alla ricerca di qualcosa di nuovo e, contemporaneamente, di un modo per alienare chi la pensa diversamente. «Post è un artista che non appartiene a nessun genere – fa musica che gli piace e parla di quello che sente», dice a Rolling Stone la sua agente Cheryl Paglierani, specificando che è stata proprio l’attitudine di Malone a conquistarla subito. «Tutto dipende da che tipo di persona è l’artista. L’immagine e il branding che costruisce per se stesso. Non so se c’è un modo per assicurarsi che tutto rimanga reale, è qualcosa che c’è o non c’è».
I numeri extra-classifica le danno ragione. Colin Lewis, il vice-presidente di Live Nation USA, spiega che nell’ultimo tour Malone ha venduto più di 350mila biglietti, compresi i due sold out all’Hollywood Bowl, che può ospitare 17mila persone. «L’esplosione di popolarità di un artista così giovane è senza precedenti», dice a Rolling Stone. Paglierani sostiene di essersi sempre sentita «molto sicura, ma comunque sorpresa dalla rapidità con cui è successo tutto». Il suo team, adesso, pensa a un tour ancora più grande.
Tuttavia, l’atteggiamento autentico/anti-autentico di Malone (è consapevole di cosa pensa la critica, e risponde sui social scrivendo post come “la gente pensa solo che io sia brutto e puzzolente lol”) ha perfettamente senso nell’era dello streaming, perché oggi la popolarità non corrisponde più all’approvazione del pubblico. Quando un album non “costa nulla”, almeno individualmente, perché gli utenti pagano un abbonamento mensile, accumulare tanti numeri in classifica non è più indicatore dell’amore di chi ascolta; è solo un segnale di attenzione. Questa attenzione potrebbe trasformarsi in una fedele fanbase, certo, ma la prima categoria è inevitabilmente più grande della seconda – ed è per questo che Malone è il re di ogni tipo di streaming ma non ha ancora suonato in uno stadio.
È la controversia perenne che lo circonda ad avergli permesso di battere Michael Jackson e i Beatles, che hanno fatto quei numeri con un supporto diverso, uniforme. Linsay Zoldaz, una giornalista di Ringer, suggerisce che il segreto sia “impacchettare qualcosa di controverso in un amichevole contenitore pop”. O forse è perché ha sviluppato “l’abilità di essere qualsiasi cosa per chiunque, anche al prezzo di perdere completamente la sua identità”, come scrive Larry Fitzmaurice nel suo pezzo su Vulture.
C’è ancora qualcosa da dire sul fascino del suo disimpegno e della sua mancanza di radici, soprattutto in un momento storico in cui molti artisti mainstream fanno esattamente il contrario. Il 28 ottobre Malone presenterà il primo “Posty Fest”: un festival, curato da Malone stesso, organizzato in un anfiteatro di Dallas. I biglietti sono andati sold out in due ore, senza l’annuncio della lineup.