Una volta, stimolato dalla poliedricità della sua arte, chiesi a Charlie Charles quanti se stesso fossero presenti nel suo corpo. La domanda suonò buffa, suscitando anche qualche risata, ma il motivo per cui la posi fu la mia convinzione che Charlie Charles – così come il genere musicale che rappresenta – fosse portatore di un’arte con diverse sfaccettature, non sempre comprese e forse troppo spesso ignorate. Siamo sicuri che la generica e vaga definizione di “trap” basti per definire decine di artisti che dominano le classifiche?
Artisti con concept, attitudini, vestiari e suoni diversi sono spesso spinti sotto un unico ombrello semantico. La semplificazione della realtà è alla base di ogni narrazione, e sono al corrente del fatto che spiegare una nuova ondata artistica richieda una sforzo in questo senso. Ma siamo certi che nel racconto pubblico il confine tra semplificazione e mistificazione non sia stato oggi superato?
Credo che la semplicità della forma del rap spesso inganni molti ascoltatori estranei al genere, che credono che tale caratteristica sia automaticamente sintomo di facile e immediata comprensione del contenuto. È sempre successo in Italia e penso che stia succedendo ancora con questa nuova era. Tedua e Izi non sono la stessa cosa, anche se sono parte dello stesso collettivo. Analizzare e parlare di un genere influente come il rap con un orecchio distratto è la maniera più errata per avvicinare e informare i più giovani. Molti, anche del settore, non si sono resi conto che, grazie alla loro creatività, alcuni dei nostri artisti non somigliano a nulla di ciò che arriva da oltreoceano e che album come Mowgli e Pizzicato hanno sonorità che all’estero definirebbero senza problemi come italiane.
Oggi nel nostro Paese – soprattuto per ignoranza – si tende ad accomunare artisti sotto uno stesso genere, senza rendersi conto delle differenti esperienze e carriere artistiche, ma facendo riferimento solo alla concomitanza temporale dei loro lavori. E attenzione, perché con “ignoranza” non intendo additare chiunque non sia affine al genere, ma mi riferisco al termine nella sua accezione più primitiva: ignorare, rifiutare di conoscere uno stato di cose della realtà.
Quando i media parlano di Sfera e di Ghali, la tendenza è insinuare che i loro stili siano simili, quando invece non è affatto così. Perfino l’utilizzo dei loro social è profondamente diverso.
Sfera ha costruito una parte del suo successo sfruttando il simbolismo, nel senso che si è appoggiato molto a codici e semantiche relative a semplici oggetti, che poi sono diventati appunto dei simboli “di culto” come codeina, Sprite, occhiali, collane ecc… E alla fine quegli stessi oggetti sono diventati la personificazione della sua musica. Ghali invece ha costruito il suo successo su una storia, partendo dal rapporto con i suoi genitori, sfruttando le sue origini tunisine e il suo passato complicato.
Solo basandosi su questi elementi, ci si renderebbe conto che i due sono agli opposti. Basterebbe ascoltarli parlare quando raccontano il loro rapporto con il successo. I fattori determinanti che contraddistinguono i due artisti sono un bene per il panorama di oggi, e soprattutto per gli ascoltatori del genere. Che poi, a dirla tutta, il suono della trap non ha nemmeno un vera e propria definizione. Quali sono i criteri per definire la trap? Soprattutto in Italia, oggi la trap è un genere transitorio, e moltri rapper sono diventati pop. Gli stessi Ghali e Sfera non sono più trap. Il disco di Sfera è molto pop, e della trap originale di XDVR c’è solo XNX.
Ghali ha molte sfumature pop e questa non è una critica, perché – a mio parere – l’obiettivo di ogni artista che ha delle grandi capacità dovrebbe essere quello di diventarlo, di raggiungere più persone, passare in radio e riempire i palazzetti, certamente senza snaturarsi. Tiziano Terzani una volta disse che ognuno deve cercare la strada a modo suo, fare il proprio cammino, perché uno stesso posto può significare cose diverse a seconda di chi lo visita. La trap come luogo fisico – in Italia, per fortuna – non esiste, ma se il genere di cui oggi tutti parlano fosse un posto, inviterei gli ascoltatori ad andarci, per capire che i viaggi di Sfera, Ghali e molti altri sono differenti l’uno dall’altro.
Io spero che se tu che stai leggendo sei indeciso sul da farsi, alla fine deciderai di andarci. Perché potresti trovarti bene, scoprire un sacco di cose sulla vita dei giovani italiani. E, magari, conoscere quegli altri dieci, cento, mille Charlie Charles che si riuniscono sotto lo stesso nome.