Non è stato poi così difficile trovare il Labirinto della Masone in macchina, nonostante la mia amica ancora avesse qualche difficoltà a pronunciare il nome del paesino in provincia di Parma che lo ospita – sarà Fontanellato o Fontallaneto?
In ogni caso venerdì, al nostro arrivo, l’atmosfera era calda ed il pubblico in fermento molto più numeroso di quello che – con un piglio di arroganza – mi aspettavo. Vecchie glorie dell’indie nostrano, con un filo di matita nera sotto gli occhi, si mescolavano alla perfezione con distinti individui non proprio di primo pelo. Il tutto nobilitato dall’atmosfera carrolliana di questo maestoso labirinto post-moderno.
Alle 22.30 in punto, spaccando il secondo, vediamo comparire sul palco loro, gli Air (acronimo di Amour, Imagination, Rêve, in omaggio all’architetto svizzero Le Corbusier), il nostro duo spaziale preferito che, di bianco vestiti, ci catapultano immediatamente in atmosfere oniriche con Venus. L’accoglienza da parte di questo pubblico così eterogeneo è calorosa, come se non fossero passati cinque anni dall’ultima volta che Nicolas Godin e Jean-Benoît Dunckel sono saliti su un palco. Un atto dovuto, dato che è proprio dall’Italia che hanno deciso di ripartire per promuovere il loro primo best of, Twentyears.
Nonostante l’acustica non proprio cristallina e la loro leggera plasticità sul palco, gli Air si confermano ancora una volta i fiori all’occhiello di quella scena elettronica Made in France dalle mille sfumature che ha fatto ballare intere generazioni di adepti. Un percorso musicale senza tempo alla ricerca dell’estasi uditiva quindi, che prosegue con Cherry Blossom Girl e le sue ovattate atmosfere da fioritura dei ciliegi in Giappone e, ancora, trascinandoci dolcemente verso le sponde di Playground Love, colonna sonora del cult di Sophia Coppola del 2000 “Il giardino delle Vergini Suicide”. Grande nota dolente – soprattutto per chi come me era pronta a sussurrarne dolcemente il testo come una preghiera – la decisione di seguirla strumentale, rischiando l’effetto karaoke mitigato solo dall’effetto oppiaceo delle note.
E si riprende a galleggiare, in questo mare magnum dell’electro pop, con un mix di pezzi tratti da Talkie Walkie (Alpha Beta Gaga – 2004) e 10000 Hz Legend (Radian, How Does It Make You Feel – 2001), per poi ritornare tra “le boulevard della città” con la mega hit Kelly Watch the Stars, tratta da Moon Safari del 2001 – senza dubbio l’album che li ha consacrati agli occhi del grande pubblico. La precisione certosina dell’esecuzione mixata con gli effetti dei visual à la Kubrick di 2001: Odissea nello Spazio ci hanno garantito un’esperienza extra-sensoriale insieme a Kelly.
Proprio quando ci stavamo prendendo gusto, pausa “convenevoli” con Nicolas e JB che salutano il pubblico, pronti a ritornare trionfanti con un bis carico di aspettative. Del tutto soddisfatte evidentemente, grazie alle note di Sexy Boy e una meravigliosa esecuzione di La Femme d’Argent, la chiusa (quasi) perfetta per un concerto once in a lifetime. Unica grande pecca, siamo tutti rimasti sbigottiti quando abbiamo realizzato che non ci sarebbe stata nessuna All I Need…désolée mais…non siete mica i Radiohead che non vogliono suonare Creep!