I Bachi Da Pietra raggiungono i loro primi dieci anni di vita e decidono di celebrarli con un nuovo disco, Habemus Baco. Un ep intensissimo, che in tre sole tracce condensa la miriade di elementi capace di caratterizzare il muro di suono unico che il gruppo ha saputo creare in questo lasso di tempo. La stessa carriera dei due Bachi spiega bene come il talento multiforme di chi respira rock’n’roll cerchi sempre nuove strade per esprimersi.
Bruno Dorella, batterista dallo stile minimale ma efficacissimo, passato per i Wolfango e oggi impegnatissimo anche con gli Ovo e i Ronin, in cui suona la chitarra e compone tutti i pezzi. E Giovanni Succi, per un buon decennio leader dei Madrigali Magri, cresciuto a pane e heavy metal, poi folgorato sulla via del blues dalla scoperta di Swordfishtrombones di Tom Waits, nonché da sempre fan devoto del conterraneo Paolo Conte, che ha recentemente omaggiato in un disco tributo: Lampi per macachi. Tutti questi elementi si tengono e assieme danno forma al sound inconfondibile degli spaccapietre. È proprio Giovanni Succi a parlarci dell’ultima uscita.
I Bachi Da Pietra fin da subito sono stati un esperimento originale e riconoscibile all’istante.
Ho provato a inventare un modo di fare cantautorato partendo dai miei ascolti, che appartengono al punk e al metal. Abbiamo cercato di fare canzoni utilizzando quel quella matrice. Mi interessa scrivere una buona canzone in questo modo, così come all’inizio dell’epopea dei Bachi mi interessava fare canzoni blues senza però essere schiavo degli stereotipi del genere.
Fare musica oggi certo non è facile.
Certo, ma in noi c’è la determinazione assoluta di fare il musicista nonostante tutto. Se non ti impegni non otterrai mai molto e impegnarsi vuol dire fare fatica, soffrire, incontrare salite invece che discese. Secondo me questa è la chiave per una vita felice. Non si deve stare in un angolo a pensare a tutte le cose che potrebbero essere e non sono. Agisci invece, e quell’azione si chiama vita. Non aspettarti nulla ma agisci.
Il brano Amiamo la guerra è tratto da un articolo pubblicato nel 1914 dallo scrittore Giovanni Papini, noto interventista. L’interpretazione che tu ne dai è da brividi, esprime l’enorme forza oscura di questo testo. E ne mette in luce la pericolosità, cento anni fa come oggi.
Papini era un interventista come molti intellettuali della sua epoca. Trovavo interessante mettere in luce come possa accadere nella storia che chi semina vento e invoca la catastrofe poi magari finisca per starsene al calduccio nel momento della bufera. E così è successo a Papini, che a differenza di molti milioni di uomini non è morto in trincea (nel caso italiano circa un milione di persone sono morte nella Prima Guerra Mondiale). Alla fine gli interventisti erano un centinaio di intellettuali, capaci però di influenzare la vita di una nazione, facendo la storia in questo modo.
Perché la scelta di proporre il brano in questo momento?
Mi sembra perfettamente calibrato all’oggi. Sono passati cento anni esatti, ma la Prima Guerra Mondiale è un periodo storico che mi affascina moltissimo, da tempo la studio. Questo testo secondo me intercetta il pensiero di molte persone oggi. Ovviamente la mia non è un’adesione acritica. Per me questa è una canzone pacifista. Nei miei testi scrivo di cose in cui credo. Credo nella storia e credo che gli uomini fanno la storia e che ciascuno di noi la decide. E proprio per questo è il caso di stare attenti a come si parla e si agisce.
Le prossime date in Italia:
04/06/2015 Gorizia, Invisible Cities Urban Multimedia Festival
18/06/2015 Prato, Ex Fabrica
05/07/2015 Brescia, Somenfest