1. “To Pimp a Butterfly” di Kendrick Lamar
Musicalmente, liricamente ed emotivamente, il terzo album di Kendrick Lamar è un capolavoro unico – una vasta epica che è al contempo il sottofondo per party più baldanzoso dell’anno e la più coinvolgente seduta terapeutica. Finalmente una superstar del rap, dopo anni passati a farsi le ossa nell’underground, Lamar combatte contro depressione e survivor’s guilt derivate dal suo successo volgendosi verso eroi come Ralph Ellison e Richard Pryor, Smokey Robinson e Tupac. La sua vita è vasta. In lui ci sono molte sfaccettature. Tra i maggiori propositori del ritorno della strumentazione live nell’hip-hop, evoca un sound che è ambizioso e stimolante come i suoi testi: un funk sci-fi in Wesley’s Theory, free-jazz in For Free?, un equilibrato G-funk in King Kunta. In tutto questo, Lamar pone domande a se stesso e ad un paese dove ogni cosa, dai suoi avi alla sua arte, è sempre stata in vendita. Solo in una stanza d’albergo, si trova ad un bivio: “I didn’t want to self-destruct…so I went running for answers” (“Non volevo distruggermi… così sono corso a cercare delle risposte”, ndt). La ricerca è infinita.
2. “25” di Adele
I quattro anni di febbrile attesa per un seguito al successo del triplo album di platino di Adele, 21, non possono essere paragonati a nient’altro che si sia visto in questi ultimi dieci anni – e lei non ci ha delusi con questo trionfo tuonante. 25 narra la storia di una giovane donna che accetta, non senza riserve, il passaggio all’età adulta, come Tapestry di Carol King. I toni pop di Water Under the Bridge e l’ascesa della ballata al piano Remedy parlano di intoppi sentimentali con un fuoco realistico, mentre la leggera Sweetest Devotion procede danzando dritta verso l’estasi. Adele ed i suoi cospiratori di serie A (Max Martin, Tobias Jesso Jr.) volano da storiche ballate anni ’80 al gospel e al blues classico, fino alle potenti escalation al pianoforte che sono diventate la sua epica firma, con le imponenti performance vocali ricche di sfumature che l’hanno già resa un’icona. “If you’re not the one for me/Then how come I can bring you to your knees?” (“Se non sei quello giusto per me/Allora com’è che posso metterti in ginocchio?”, ndt) canta. In 25, lo fa in continuazione.
3. “If You’re Reading This It’s Too Late” di Drake
Quale momento migliore per essere Drake. La star di Toronto si è goduto un anno da paura, e tutto è iniziato con questo – la sua produzione hip-hop più pura dopo secoli, da lui definita un mixtape sebbene le vendite siano arrivate alle stelle. Niente hook pop, niente romanticherie, solo una serie di movimenti rap messi in stretta sequenza in cui fa il suo gioco sfogando rabbia e paranoia. Spara a zero sulla sua compagnia discografica e si lamenta delle groupies come solo lui sa fare: “I got bitches asking me about the code for the Wi-Fi”. Si lamenta addirittura di aver accompagnato in auto la sua ragazza all’esame per l’avvocatura nonostante la neve – forse la lamentela che più ci si aspetterebbe da lui. È il disco più oscuro che abbia mai prodotto, eppure ha venduto senza difficoltà un milione di copie in un anno quando, virtualmente, nessun altro c’era riuscito. Anche quando Aubrey Drake Graham mette in secondo piano il suo lato pop, resta il re.
4. “Black Messiah” di D’Angelo and the Vanguard
Eccome se questo qui sa scegliere il momento giusto. D’Angelo ha rilasciato il suo primo LP dal 2000 negli ultimi giorni del 2014, come un imponente commento personale sull’America in un’annata di profondo tumulto razziale. Dopo un anno di ascolti, Black Messiah si erge ancora di più. Le canzoni costruiscono senza fretta un groove soul confortevole e meditativo nella vena di Sly Stone o Prince. D dice la sua sugli abusi della polizia in The Charade (“All we wanted was a chance to talk/’Stead we only got outlined in chalk”, “Volevamo solo una possibilità di parlare/Invece hanno tracciato le nostre sagome con il gesso”, ndt) e libera il suo guitar hero interiore in 1000 Deaths. A lasciare senza fiato è Another Life – sei minuti di piano, sitar e falsetto, che si allungano verso il futuro infinito di D’Angelo. Anche se dovessimo attendere altri 15 anni per il prossimo capitolo, ci vorrà almeno tanto per assorbire davvero Black Messiah.
5. “Beauty Behind the Madness” di The Weeknd
Il canadese Abel Tesfaye ha ridefinito cosa significhi essere un autore R&B con il suo secondo LP che l’ha portato al successo. Dopo una serie di misteriosi mixtape basate su una raffinata malinconia gotica (ed un raffazzonato debutto major nel 2011), ha mirato dritto per la gloria della Top 40 questa volta, senza diluire minimamente il suo fascino inquietante. La sontuosa collaborazione con Max Martin, Can’t Feel My Face ha fatto ballare l’America sulle note di una metafora che dietro il sesso nasconde la cocaina, grazie ad un gioioso hook su cui Michael Jackson avrebbe potuto eseguire il suo moonwalk; In the Night ha amplificato il vago sentore di violenza di MJ all’epoca di Bad mantenendosi comunque energica come una festa; e ballate torpide come Earned It and The Hills hanno intessuto una delicatissima sensualità in improbabili singoli di successo. Chi altri se non Weeknd avrebbe potuto far funzionare un verso come “Solo mia madre era in grado di amarmi per la persona che ero” in una discussione post-coito? È esattamente questo tipo di sincerità che lo rende un musicista così rivoluzionario.
6. “Sometimes I sit and Think, and Sometimes I Just Sit” di Courtney Barnett
Il miglior debutto dell’anno quest’anno arriva da un’artista indie-rock australiana di 27 anni tanto talentuosa che può fare canzoni sull’insonnia o la ricerca di una casa con l’arguzia e la perspicacia di Dylan nel ’65.
7. “Something More Than Free” di Jason Isbell
Il cantautore roots-rock più riflessivo della sua generazione elargisce una stupenda cronaca della vita meridionale, colma di personaggi indimenticabili e immagini indelebili come “Jack and Coke in your mama’s car/You were reading The Bell Jar” (“Jack e coca nella macchina di mammina/Stavi leggendo La Campana di Vetro”, ndt).
8. “Hamilton: Original Broadway Cast Recording” di Aa. Vv.
Il successo del musical di Lin-Manuel Miranda ha fatto del “Padre Fondatore sulla banconota da 10 dollari” un eroe hip-hop. Chi ha bisogno dei biglietti per Broadway quando la colonna sonora è così fantasticamente spassosa?
9. “Yours, Dreamily” di The Arcs
Dan Auerbach si lascia andare con un pugno di amici che sembrano apprezzare i Latin Playboys. Stay in My Corner è R&B dai toni noir, corretto con vistose decorazioni psichedeliche; Cold Companion è un doo-wop delle praterie, come se gli Eagles facessero la loro comparsa all’ingresso di un saloon.
10. “The Magic Whip” di Blur
I Blur hanno battezzato il loro primo lavoro a lineup completa dal 1999 con il nome di una marca di petardi cinesi – un’adeguata allusione alle scosse esplosive e la granata emotiva incastonata nel ritmo cauto di Lonesome Street che richiama i Kinks e il tenero bagliore di Mirrorball.
11. “No Cities to Love” di Sleater-Kinney
La band più combattiva degli anni ’90 è tornata dalla sua pausa con il suo disco più duro di sempre. “La speranza è un peso, oppure ti rende libero”, cantano nel pezzo eponimo – un verso che avrebbe potuto scrivere Bruce Springsteen.
12. “Honeymoon” di Lana Del Rey
La voce della swinger più triste di Hollywood non è mai stata tanto potente come in questo trionfo di pene d’amore carico di stile. Del Rey esprime uno struggimento maestoso in High by the Beach and Salvatore. Suona persino sexy mentre legge una poesia di T.S. Eliot in Burnt Norton.
13. “Currents” di Tame Impala
La visione del sognatore australiano Kevin Parker si è evoluta un bel po’ con il suo terzo album intriso dei toni del sintetizzatore. È zeppo di stregonerie psichedeliche compiute in studio da un tipo in trance mistica che è in grado di far sembrare lo schiocco delle dita una rivelazione giunta da un altro mondo.
14. “Star Wars” di Wilco
Il miglior disco dei Wilco in dieci anni tocca tutto ciò che li rende grandi: noise raffinato, la piacevolezza di un brano che si ascolta con piacere mentre si guida e la dolcezza delle composizioni di Jeff Tweedy. Sembra un greatest hits, solo che le canzoni sono tutte nuovissime.
15. “I Love You, Honeybear” di Father John Misty
Nel suo secondo album come Father John Misty, il cantautore Josh Tillman ha dipinto un vivido ritratto dell’amore che diventa follia, riempiendo pezzi come Bored in the USA e Holy Shit con ricche melodie e tanta ironia pungente.
16. “Skrillex and Diplo Present Jack Ü” di Jack Ü
I beat freak più rinomati del mondo invitano Bieber e 2 Chainz al loro festival psichedelico della musica elettronica.
17. “Crosseyed Heart” di Keith Richards
Il primo lavoro da solista di Keith da 23 anni a questa parte è il suo miglior lavoro in assoluto – ed il più adorabilmente eccentrico.
18. “A Fool to Care” di Boz Scaggs
Una concisa storia del soul americano, con rivisitazioni stellari di pezzi di Fats Domino, Huey “Piano” Smith e altri.
19. “B’live I’m Going Down…” di Kurt Vile
Un guitar hero introspettivo trasforma le sue riflessioni sul divano in uno stoner-folk magico.
20. “Cass County” di Don Henley
Un Texano di nascita torna alle proprie radici, con un album di cover genuine come il suolo natio ed una meticolosa narrazione in stile country puro.
21. “Traveler” di Chris Stapleton
Dopo aver scritto i successi altrui per anni, un veterano di Nashville fa il suo eccellente debutto influenzato dalla tradizione.
22. “How Big How Blue How Beautiful” di Florence and the Machine
Una diva artisticheggiante si sbilancia decisamente verso il rock e il soul. Segue una straordinaria reinvenzione.
23. “Tracker” di Mark Knopfler
Knopfler mette insieme il folk celtico, Dylan e i Dead mentre riconsidera la vita con una grazia stoica.
24. “Surf” di Donnie Trumpet and the Social Experiment
Il pioniere dell’acid-rap Chance the Rapper cambia rotta con un radiante insieme di soul jazz utopistico.
25. “Introducing Darlene Love” di Darlene Love
A 74 anni, una grande dell’epoca dei gruppi al femminile canta Springsteen e Costello in un vibrante LP senza età.