Il mito lascia perduto nel tempo il momento esatto in cui venne pronunciata, quasi certamente da un Ringo Starr esausto, la frase “A hard day’s night” e quello, successivo, in cui John Lennon scrisse la bozza del testo sul retro di un bigliettino del primo compleanno del figlio Julian – oggi conservato presso gli archivi della British Library. Sappiamo con certezza, però, che prima che Lennon cedesse a Paul il cantato del brano – per via dei passaggi più alti a cui la sua voce non sarebbe mai arrivata – il regista Richard “Dick” Lester la scelse come perfetto titolo per il primo film che vedeva i Fab4 protagonisti. Il film stava effettivamente sottoponendo a una pressione esagerata la band nel suo momento di massima esplosione, porzione temporale storico-artistica di cui la pellicola, uscita nei cinema UK nel luglio 1964, vuole essere un fedele e divertente ritratto. Uscito poi in Italia con il titolo Tutti per uno, il film torna oggi in commercio in una preziosa versione restaurata e arricchita da una rosa di contenuti extra che, come sempre accade nel caso dei Beatles, non fa che impreziosire, ancora una volta, l’aura dorata e mitologica del gruppo. Come accadde con la discografia completamente rimasterizzata e come, in modo ancora maggiore, con i video della band ripuliti e rimessi a nuovo, anche questa piccola opera prima cinematografica, che persino l’elitarissimo Andrew Sarris non esitò a definire come “il Quarto Potere dei jukebox movies”, rivista oggi nella sua resa migliore provoca nello spettatore-ascoltatore quella sorta di straniamento temporale sublime e tutto beatlesiano, in grado di illudere noi contemporanei di poter sfiorare, nel modo più verosimile e realistico possibile, una realtà lontana e temporalmente intangibile. A conferire un valore sostanziale alla nuova uscita, tuttavia, sono soprattutto i sei contenuti speciali annessi al film, un viaggio a tappe nell’approfondimento delle ragioni e delle specificità qualitative della sua realizzazione.
Le note di regia raccontano il modo in cui l’americano Richard Lester, che aveva fatto innamorare Lennon con il suo corto The Running Jumping & Standing Still realizzato con Spike Milligan e Peter Sellers, strutturò con personalità il ruolo che la band, allora in ascesa vertiginosa, avrebbe poi mantenuto all’interno della propria filmografia. Lo stile di Lester, che i Beatles scelsero come regista dopo aver rifiutato un’infinità di proposte per girare il proprio primo musicarello, nasce dall’approccio televisivo, comico, altamente britannico, distintivo anche, poco più in là, dei Monty Python. Il mix grottesco e a tratti nonsense – presenza costante al fianco di una trama invero piuttosto esile – si sposa in modo naturale al senso di sottesa follia generale che accompagna la beatlesmania in ascesa, qua ripresa con giochi registici e inquadrature destinati a diventare veri stilemi nel futuro della musica su schermo.
Nel primo tra i sei contenuti speciali del cofanetto, Anatomy of a Style, Suzana Peric analizza molte sequenze del film e lo fa ragionando approfonditamente sul valore che in A Hard Day’s Night ha il motivo primo del girato: la musica. Il film, spot promo di enorme successo di un disco in uscita destinato a consacrare la passione mondiale per i Fab4, è soprattutto un’eccezionale prova avanguardistica del rapporto tra macchina da presa e musica pop. Analizzando come nel film ogni brano si integri armonicamente con l’elemento cinematografico, si scoprono tecniche che diventeranno la base dei videoclip che verranno, modi di riprendere i live qua sperimentati in modo inedito e destinati a diventare paradigmatici. Fluidità tra close-up e riprese dall’alto, per esempio, sembrano ricercate per una migliore resa delle ritmiche dei brani, ma questo incrocio perfetto nasce da una ricerca di Lester sul movimento, questione atavica sia del suono che del cinema, più che da giochi da fase di montaggio.
Negli extra scopriamo divertenti dichiarazioni audio dei quattro, l’imbarazzo iniziale nel ruolo di attori, ma pure un’analisi precisa della genesi della band e di come sia approdata alla scelta di partecipare, dopo tanti rifiuti, a un film agiografico. A occuparsene è Mark Lewisohn, che ci mostra un piccolo ritratto speciale, qualcosa di curioso e appassionante anche per i più ferrati. L’aura di stupore beatlesiano, così come il talento da pop writer di McCartney, sembra destinato a rigenerarsi non solo disco dopo disco e riascolto dopo riascolto, ma anche a ogni nuova uscita speciale come questa. Un tale tipo di magia si configura in modo evidente quando, nel delineare l’anatomia del film, addetti ai lavori – da George Martin in giù – sviscerano il significato di un lavoro come AHDN nel proprio tempo della Storia.
A Hard Day’s Night è un film leggero, a tratti fuori tempo, persino un po’ noioso non meno di quanto risultino oggi noiosi certi film musicali italiani nati per consacrare nuovi miti giovanili. Ma il futuro, ai Beatles del 1964, avrebbe riservato l’eternità, un infinito spaziale e sconfinato da cui la Storia non si sarebbe mai sottratta e da cui ancora non si sottrae oggi. Ci si commuove ancora vedendo cariche di ragazze rincorrere, urlanti, questi quattro che cambieranno le sorti della pop culture del pianeta; ed è vero maestro, Lester, nel suo modulare sullo schermo il mix di dolcezza e violenza di un fenomeno in grado di generare empatia anche oggi a noi uomini del futuro senza Fab4, seduti su un divano, di fronte a un dvd.