«Dobbiamo spiegare i motivi di questo tour acustico. Bene, il primo è che siamo diventati vecchi e abbiamo bisogno di star seduti. Il secondo è che abbiamo la necessità di capire quanto sappiamo suonare bene», dicono dal palco.
In realtà, di motivo, i Fine Before You Came – band milanese che ad inizio millennio ha lottato per risollevare le sorti dell’emocore italiano – ne avrebbero un altro: la voglia e la necessità di urlare al mondo quella scarica di parole intime, passionali e disperate capaci di tratteggiare la quotidianità di ognuno di noi.
La forma-concerto da salotto messa in scena all’Init di Roma toglie quella cattiveria e quella istintività che da sempre hanno fatto di un live dei Fine Before You Came uno scontro/incontro fisico sudato e sofferto.
Eppure, la versione acustica funziona bene: rende le canzoni ancora più intime e calorose. Sopra agli arpeggi legnosi di chitarra che si intrecciano alle linee melodiche tessute da un ‘inedito’ violoncello – una scelta che deve molto ai soliti Van Pelt e Fugazi, ma anche ai texani Bedhead (i veri creatori dello slowcore).
Jacopo Lietti (voce), irrequieto, sussurra e urla testi carichi di rabbia e di abbandono. Giù dal palco, invece, i pugni vengono puntati al cielo e i polmoni gonfiati per cantare insieme ritornelli da magone.