Noel Gallagher con quel giubbottino di pelle scamosciato di fianco a Pusha T sembra il suo commercialista. Tolto che fa strano vedere Noel Gallagher sullo stesso palco con Damon Albarn (vedi alla voce Blur vs Oasis), è letteralmente surreale vedere due figure tanto lontane nella musica—un ex Oasis e il rapper newyorchese a capo dell’etichetta di Kanye West—condividere lo stesso palco, nello stesso momento. Non credo ricapiterà di nuovo, ma se bisogna riconoscere a qualcuno il merito di questa accoppiata stramba ma in qualche modo efficace, quel qualcuno si chiama Damon Albarn.
È successo venerdì sera ai magazzini Printworks di Londra, il luogo scelto da Damon e il suo socio disegnatore Jamie Hewlett per presentare in gran segreto il nuovo disco dei loro Gorillaz. Il format dell’evento è molto semplice: esci dalla fermata metro di Canada Water, alcuni omini col giubbotto catarifrangente (ce n’è uno ogni 20 metri) ti indicano la strada con un cenno del capo, entri nella gigantesca sala e tocchi finalmente con mano gli ultimi anni di lavoro di Damon e tutti i collaboratori. Tanti collaboratori, che il frontman dei Blur ha deciso di portarsi dietro al completo (o quasi, manca Grace Jones) per suonare Humanz così come appare sulla tracklist. Alcuni pezzi sono già usciti in video, come la minacciosa Staturnz Barz dove Popcaan snocciola rime in patois giamaicano o la famosa We Got The Power che ha fatto salire sul palco Jean Michel Jarre e Noel Gallagher.
«Allora, facciamo che quando volete risentire una canzone mi urlate: “rewind!”, ok?» dice Damon al pubblico dopo aver salutato i De La Soul, con cui ha appena cantato Momentz—fa piacere che si rinnovi la collaborazione dopo Feel Good Inc, tuttora forse la hit più famosa dei Gorillaz. Il problema è che, da quel momento, dopo ogni brano partono i cori di rewind, che non vengono accontentati almeno fino a metà concerto. Cioè quando Damon richiama Pusha T sul palco per riproporre il funk concentrato di Let Me Out feat. Mavis Staples che appare soltanto nello schermo dietro.
È rassicurante notare che, con qualche eccezione tipo la sinuosa Busted And Blue con Kelela, Damon ha rispettato la promessa iniziale di fare un disco veloce, mantenendo alti i BPM. Come sempre il fine ultimo del progetto Gorillaz rimane lo sfogo dell’anima black di un cantante che si è fatto un nome con il britpop. Ma questa volta il rap, il soul, l’RnB e persino il gospel vengono sfruttati in maniera molto più pragmatica rispetto a Demon Days, che di solito viene preso come metro di paragone per gli altri album. Humanz è perfetto per essere suonato dal vivo, davanti a una folla che sta ballando. Kali Uchis accenna persino una danza del ventre fra una strofa e l’altra di She’s My Collar, mentre il climax di sculettosità lo si raggiunge con la Sex Murder Party cantata da Jamie Principle e Zebra Katz. Per tutto il live, poi, dietro a Damon si dimenano sei coristi e coriste, un incredibile Seye Adelekan al basso (con tanto di basco da Black Panther in testa), una batteria, un percussionista, un chitarrista e un tastierista. Musicisti mostruosi, e la bravura di Albarn sta anche lì, nello scegliere il team più adatto.
Finita la tracklist, Damon chiama tutti i suoi collaboratori sul palco, compresi i fonici e i produttori. Un grande inchino, e poi si sparisce dietro le quinte. Fine? No, dopo 3 minuti la band virtuale più famosa di tutte (onnipresente negli schermi sullo sfondo) e la sua forma umana tornano sul palco per levarsi qualche sfizio. Nell’ordine, Kids With Guns, Feel Good Inc con tanto di De La Soul e Clint Eastwood, che Damon introduce nell’oscurità, con un faro che illumina soltanto lui e il suo melodica, suonato come vorrebbe Morricone.
La parabola di entusiasmo raggiunge il fuoco sul finale, lasciato al raggae celestiale di Don’t Get Lost In Heaven e Demon Days. La soddisfazione più grande è di vedere Damon—sorriso gigante, bicchiere di whisky in mano—appoggiato all’asta del microfono. Si gode gli applausi, sapendo che il bello deve ancora venire.