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I Metallica all’House of Vans di Londra: cronaca di un’esperienza surreale

Davanti a un pubblico di 300 persone, i quattro hanno presentato il nuovo album "Hardwired...To Self Destruct" oltre che lanciato torte a Kirk per i suoi 54 anni
Foto: Nathan Gallagher

Foto: Nathan Gallagher

Venerdì 18 novembre è una data decisamente importante per i Metallica. Sicuramente perché proprio quel giorno Kirk Hammett ha spento la sua 54esima candelina (e si è pure beccato una pioggia di torte in faccia), ma anche perché dopo un iter che ha sfiorato molto spesso il tragicomico è finalmente uscito Hardwired…To Self Destruct. Un album piuttosto agognato, uscito alla ragguardevole distanza di otto anni dall’ultimo Death Magnetic. E non essendo quest’ultimo il migliore in più di 40 anni, sul neo arrivato gravava una specie di tensione nervosa dei fan. Come se si dovesse rimediare a un lungo periodo di inattività discografica preceduto da un disco da molti considerato poco incisivo, oltre che poco “cattivo” per gli standard di Hetfield e banda—il video in rotazione su MTV e il taglio pop di The Day That Never Comes all’epoca mi lasciarono piuttosto perplesso.

Fortuna che, Spotify per credere, Hardwired…To Self Destruct alla fine ha saputo rispettare i taciti accordi con i fan, riuscendo a far tirare fuori a Lars Ulrich e James Hetfield il loro lato più heavy metal anni Novanta che da qualche parte doveva pur esistere ancora. Infatti, per la prima volta dai tempi di Kill ‘Em All (1983), cantante e batterista se la sono dovuta sbrigare a quattro mani, senza poter contare sui riff del chitarrista, andati perduti (circa 250 file) chissà dove nell’aeroporto di Copenhagen insieme all’iPhone dove erano contenuti. Nessun backup, quindi addio contributo di Kirk.

Foto: Nathan Gallagher

Una data speciale quella del 18 novembre, dicevamo, che la band ha festeggiato come non faceva da secoli, ovvero in un seminterrato davanti a 300 metallari. Che poi lo scantinato in realtà sia l’incredibile area dell’House Of Vans di Londra (quasi 3mila metri quadrati sotto a Waterloo Station) e che 3/4 dei metallari anche skater bravissimi, è solo un dettaglio. Skate, birre, sorrisi e cheeseburger spezzano persino la minima formalità che precede un concerto importante. Tanto che, appena entrato, Robert Trujillo mi passa a un centimetro di distanza. Senza security o stuart a fare la guardia, se ne stava lì con la birretta in mano nella bowl principale a guardare i ragazzini skateare. Dopodiché, finita la birra, sparisce nel backstage un quarto d’ora prima dell’inizio dello show previsto alle 21. In saggia diretta streaming per chi non poteva essere fra i 300 fortunati, il concerto è stato un gigantesco omaggio al Regno Unito, storicamente uno dei primi avamposti della Metallica family. «Una delle nostre prime volte in Europa, più di 30 anni fa, è stata proprio qui a Londra, a due passi da dove siamo ora» confermerà Lars Ulrich al microfono sul finire del live, cominciato proprio con la cover di un gruppo inglese.

È Braedfan dei Badgie, un pezzo molto caro ai Metallica, piazzato per la prima volta come B-side del loro singolo Harvester of Sorrow nel 1988 e sull’album di cover Garage Inc. dieci anni più tardi. Sotto una volta a botte larga una ventina di metri e profonda 50, la temperatura ci mette davvero poco a scaldarsi, in senso figurato e non. Dopo Sad But True, l’omaggio alla terra di Sua Maestà continua con l’assolo di Prowler degli Iron Maiden eseguito da Kirk fra gli applausi e Whiskey In The Jar, cover di una canzone popolare irlandese anche lei contenuta in Garage Inc.. Seguono le classiche armi da guerra come One, Seek And Destroy, Master Of Puppets e la nuova Hardwired, che molto presto entrerà nel club. C’è qualcosa di magico nell’assistere al live di una delle band più grandi al mondo in una delle sale da concerto più piccole. Tutto è più intimo e persino James, Kirk, Lars e Rob rispondono a un pubblico così fisicamente vicino con un entusiasmo che sono sicuro non sfoggiavano da anni, dopo intere stagioni in festival giganteschi e palchi grandi come l’intera sala dell’House of Vans. È come se venerdì i quattro californiani siano tornati agli esordi. Quando, nei primi anni Ottanta, nessun promoter si sarebbe mai sognato di arruolarli in un posto che potesse contenere più di 500 persone per paura di non riempirlo. Se non sapessi che ha venduto quasi 60 milioni di album nei soli USA, direi che la band che ho di fronte farà strada.

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