Arrivo nello store di Foot Locker, in centro a Milano, qualche minuto prima dell’esibizione di Briga. Fuori dal negozio c’è uno stuolo di under-16, quasi tutte ragazze, alcune di loro in lacrime. Mattia Bellegrandi è arrivato secondo ad Amici 2015 e oggi ha fuori un album, Talento, prodotto da Sony. È il suo quarto in studio e arriva dopo Never Again, un disco registrato prima ma uscito dopo la sua partecipazione al talent. In questo album, cambia un po’ le carte in tavola, si apre a collaborazioni di tutti i tipi (da Gianluca Grignani a Clementino, per intenderci) e si butta su nuovi generi. Tra poco finirà in vetrina, già appannata dalle manate delle giovani accalcate appena fuori, perché la sua passione per il viaggio l’ha fatto diventare testimonial per Timberland. Quando gli stringo la mano mi guardano tutte male. Briga parte in quarta, risponde sgamatissimo ad ogni domanda senza sbilanciarsi. Anche perché in passato due o tre uscite sbagliate le ha fatte. E ha capito come soppesare le risposte.
Talento è un album quasi inaspettato, parecchio diverso da prima.
La mia più grande prerogativa e la mia più grande ambizione quest’anno era migliorarmi e tirare fuori un lavoro più completo rispetto a quello precedente che mi ha lanciato con il talent. Tra l’altro, anche Never again è un album atipico per essere uscito da un talent perché era stato scritto prima. Con Talento mi sono messo in studio perché dovevamo fare qualcosa di forte, perché andare giù è facile come andare su. Mi sono circondato di artisti molto validi, c’è tanta cultura musicale in questo disco. Volevamo ampliare i miei orizzonti e non fare in modo che la gente avesse in mano qualcosa che si aspettasse.
È un rischio no?
Bisogna rischiare sempre. Se non avessi mai rischiato non sarei arrivato fino qui. Il mio primo rischio è stato far uscire per un’etichetta rap italiana una canzone chitarra e voce, che è diventato il primo disco d’oro da 15 anni a questa parte (si parla di Sei di Mattina, nda). Il secondo rischio, quello più importante, è stato annullare un disco pronto e in uscita per fare Amici. Ecco, di rischi me ne sono sempre presi.
E ti sei mai pentito?
Mai. Ho sbagliato e continuerò a sbagliare, non è possibile che ogni cosa che fai funzioni. Però so ammettere i miei errori, l’importante è che sia sempre io a prendermi il rischio. Al massimo faccio ammenda.
Cosa sarebbe successo se non ci fosse stato Amici?
Si chiamano talent proprio perché è necessario che ci sia del talento. Non basta il talento vocale, serve talento nel ragionare, nello schivare delle situazioni e nell’evitare domande scomode. A me Amici ha dato quasi tutto quello che ho ora. Poi come l’ha dato a me l’ha dato a tanti altri. È una macchina che ti può schiacciare come ti porta in alto. Ne abbiamo avuto un caso quest’anno no? Senza fare nomi… (se avete seguito le cronache musicali recenti, più lato gossip, sapete benissimo a chi si sta riferendo Briga, nda)
L’intervista viene interrotta da un urlo adorante di un’adolescente.
Ti senti responsabile di quello che dici a loro?
Mi sento responsabile. Sono sicuro che queste persone abbiano delle guide a cui spetta il ruolo di educatore. Non vorrei mai che prendessero totalmente alla lettera quello che dico o faccio. Anche se, alla fine, faccio solo canzoni d’amore dove non c’è niente di male. È un concetto base che alla fine comanda tutto.