Il mondo, si sa, si divide in quelli a cui piace Springsteen e quelli che non l’hanno mai visto dal vivo. Non c’è modo di rimanere indifferenti di fronte ad una prova di forza di 3 ore e 56 minuti, chiusa da Bruce che grida nel microfono il suo credo: «Sono solo un prigioniero del rock’n’roll».
Bruce Springsteen è arrivato in Europa per la prima data del The River Tour e ha scelto un luogo simbolo della sua idea trascendente del rock e del senso di appartenenza che ha creato il suo mito: il Camp Nou di Barcellona, lo stadio sulle cui gradinate c’è scritto “Più di una squadra”, già infiammato per la vittoria al pomeriggio del campionato spagnolo contro l’odiatissimo Real Madrid. Questo stadio è, insieme al Meazza di Milano, uno dei preferiti in assoluto di Springsteen. La città è in festa, striscioni appesi ai balconi con scritto “Gracias Bruce” e bar strapieni con i suoi dischi sparati a volume alto. Springsteen conosce alla perfezione ogni meccanismo dell’intrattenimento, ha la capacità di comunicare e creare empatia con qualsiasi pubblico, canta per tutti, dalla prima all’ultima fila dello stadio e costruisce lo show con precisione: saluta la città, parla in catalano e non in spagnolo e costruisce la scaletta del concerto al momento, guidando la E Street Band (Mighty Max Weinberg, Little Steven, Gary Tallent, Roy Bittan, Patti Scialfa e Soozie Tyrell più Jake Clemons e Charlie Giordano al posto di Clarence Clemons e Danny Federici) attraverso la sua storia, dalle strade polverose del New Jersey alla gloria, rivendicando la missione fondamentale del rock’n’roll, quella di unire le persone.
Quando Springsteen e la E Street Band escono sul palco la domanda è sempre la stessa: cosa faranno? Stavolta ci ha pensato il bassista Gary Tallent a creare aspettative con un Tweet che annunciava sorprese in Europa.
Il The River Tour è nato con l’idea di celebrare la riedizione dell’album doppio The River, quello che ha portato negli anni ’80 le storie sociali e le avventure sentimentali che hanno consacrato Springsteen come autore a metà degli anni ‘70, gli ha regalato la prima hit (Hungry Heart, n.5 in classifica in America nell’ottobre del 1980) e come ha raccontato lui stesso nel documentario The Ties That Bind ha rappresentato la presa di coscienza dell’età adulta che ti arriva addosso a 30 anni: «La mia vita era diventata una storia, ma una storia non è una vita vera. Ho provato a salvare me stesso scrivendo canzoni immergendomi nell’esistenza di una comunità di persone che stava lottando per costruire qualcosa».
È un album profondo, intenso, scritto sullo sfondo della crisi economica che blocca il sogno americano, con tematiche attuali in modo quasi bruciante. Il manager di Springsteen, Jon Landau, ha raccontato che l’idea era di fare solo due esecuzioni integrali dell’album da vivo, a Los Angeles e a New York, poi Bruce ha detto: «Ci vuole lo stesso tempo per provare due concerti che per provarne venti. Quindi facciamone venti». Alla fine sono diventati 37, più ventotto in Europa e altri otto negli Stati Uniti a settembre. In America l’esecuzione è stata rigorosa: tutte quattro le facciate dell’album, venti canzoni a stati d’animo alterni, dalla festa di Sherry Darling e Out in the Street alle riflessioni sull’amore di Stolen Car e Wreck on the Highway. La scaletta era divisa: prima The River e poi The Rest, alla fine di ogni lato Bruce spiegava le canzoni per condividere le sue storie con un pubblico che molto probabilmente le aveva vissute quasi tutte in prima persona.
Un video pubblicato da Oscar Carulla (@carulla55) in data:
A Barcellona invece lascia da parte il racconto sociale e punta dritto sull’intrattenimento. Ecco la sorpresa: il The River Tour non è solo la celebrazione dell’album del 1980 ma di tutto quello che la E Street Band ha fatto sui palchi europei negli ultimi dieci anni, da quando ha ricominciato a macinare stadi e tour. Non esiste un effetto nostalgia, perché questa band dà l’impressione di essere proprio adesso nel momento migliore della sua lunga carriera. E allora il The River Tour europeo parte con una sequenza di inni, Badlands, No Surrender e My Love Won’t Let You Down e prosegue con un gioco studiato, dentro e fuori dalle tracce del disco, per non mollare mai la tensione e creare mistero. «Siete pronti?» chiede Bruce e parte con il primo lato di The River, poi mentre ti aspetti che segua la scaletta si ferma di colpo, scende tra il pubblico e chiede uno dei tanti cartelli con le richieste, un gioco ormai diventato classico con cui la band dimostra di non avere nessun timore a fare qualsiasi cosa al momento, per esempio improvvisare I’m Going Down. Alla fine Springsteen salta quasi tutto un lato di The River, ci mette in mezzo Atlantic City e Darlington County, tira su un altro cartello e chiede di scegliere tra Glory Days e Growin’Up e poi chiude con la una versione sublime della ballad Drive All Night.
I pezzi di The River mettono in mostra un grande Little Steven, produttore dell’album, che fa da seconda voce e lo accompagna alla chitarra nella title-track, i brani lenti come Point Blank e Brilliant Disguise sono duetti tenerissimi con la moglie Patti. E poi c’è The Rest, “Il concerto dopo il concerto”, l’interminabile cavalcata che sposta in avanti l’orologio verso il tempo impossibile di quattro ore di esibizione senza mai prendere fiato. “One two, three four” scandisce Bruce e poi Prove it All Night, Promised Land, Because the Night, The Rising, Thunder Road, Born in the Usa altissima, quasi metal, Born to Run, Dancing in the Dark, Tenth Avenue Freeze Out e l’omaggio bellissimo a Prince, Purple Rain.
Un video pubblicato da Roberto Meconi (@rob_mec) in data:
«È troppo tardi» fa segno Bruce al pubblico, ma il Camp Nou è in festa con le luci accese e allora la E Street Band continua con Shout, Bobby Jean e Twist and Shout e quando smette, tu sei più stanco di loro. All’inizio del concerto ti chiedi cosa faranno, quando finisce pensi: non può succedere più niente perché è successo di tutto. Bruce Sprinsgteen è arrivato in Europa e ha fatto capire subito che non ha intenzione di risparmiarsi e non mollerà di un centimetro la sua occupazione permanente dell’immaginario rock dal vivo. A luglio sarà nel suo stadio preferito, il Meazza di Milano (3 e 5 luglio) e il 16 luglio in un posto che ispira grandezza solo a nominarlo, il Circo Massimo di Roma. Se queste sono le premesse, ci sarà da divertirsi.