Il Combat Rap dei Run the Jewels | Rolling Stone Italia
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Il Combat Rap dei Run the Jewels

Il duo hip hop più agguerrito degli Stati Uniti si racconta, tra incidenti d'auto, droghe e scazzi con le etichette

Il Combat Rap dei Run the Jewels

El-P è seduto sul sedile del passeggero dell’Audi di Jonah Hill, mentre attraversano un incrocio a L.A., quando un’altra macchina si materializza dal niente e – BAM! – li prende in pieno. Il lato passeggero dell’Audi è distrutto, ma, incredibilmente, tutti escono senza un graffio. «Sono un devoto degli airbag», dice El-P tre giorni dopo. Al momento dell’incidente, aveva appena conosciuto Hill, un grande fan dei suoi Run the Jewels, duo hip hop incredibilmente creativo e amato dalla critica che El-P ha formato nel 2013 con il suo amico MC Killer Mike. Poco prima, Hill e El-P si erano fermati a mangiare un boccone e a «parlare di alcuni progetti», dice El-P, «probabilmente un video».

Hanno mangiato da “Philippe”, un posto molto noto in città: «Il sandwich era davvero buono», aggiunge El-P, il che toglie un po’ di negatività all’incidente.
Mentre El-P racconta questa storia, in un pungente pomeriggio invernale, sta fumando una sigaretta all’esterno di una sala prove di Hollywood con Killer Mike, che invece si sta facendo una canna. «Il fatto che tu sia riuscito a non finire su TMZ… Sei Batman, cazzo», gli dice Mike. «Sono davvero contento di non essere uscito su TMZ», ribatte El-P. I tabloid online hanno parlato dell’incidente, ma El-P non è stato riconosciuto: «Sono “l’altro uomo”. Mi sono detto, “Yeah! Sono Keyser Söze!”», esulta.

Run the Jewels live al Circolo Magnolia, Milano, 2 settembre 2015

El-P ha passato gran parte della sua carriera lontano dai radar, una situazione che lo fa stare bene. È un veterano della scena underground rap di New York, a metà anni ’90 faceva parte del trio di culto Company Flow, prima di incidere una serie di classici dell’indie rap come MC solista, poi è stato boss di un’etichetta e produttore, dove metteva insieme densi e distopici versi rap con grezzi e pulsanti beat per degli svitati come lui. Killer Mike, dal canto suo, è di Atlanta e si è fatto un nome all’interno della Dungeon Family degli OutKast, dando il suo contributo su lavori come Stankonia e Blueprint 2 di Jay- Z, prima di passare ai dischi solisti.

Entrambi hanno avuto i loro successi, in poche parole, ma nessun grande riconoscimento fino a quando, qualche anno fa, un amico comune non ha pensato che potessero collaborare per il quinto album in studio di Mike. In quel momento, El-P si stava riprendendo dopo aver chiuso la sua etichetta (problemi economici), aver pianto la scomparsa di un amico (per cancro) ed essersi spinto verso l’autodistruzione («Mi facevo un sacco di droghe, per cercare una via di fuga», dice). Anche Mike stava cercando una via di fuga. Aveva sofferto per anni di pesanti «mal di testa da label» – grandi capi che volevano soltanto hit da classifica, uscite rinviate di continuo – ed era arrivato a legare la sua autostima al numero di vendite dei suoi lavori. Anche lui aveva i suoi impulsi autodistruttivi, che si trasformavano in gran parte in abuso di sostanze e infedeltà matrimoniale – o, come dice Mike, «depressione, droghe e troie».

Lavorando insieme, il rinvigorito El-P e l’incoraggiato Mike hanno potuto essere «totalmente liberi e onesti: liberi di usare i nostri stili, di non avere aspettative per i passaggi in radio o l’approvazione delle etichette». Il risultato, R.A.P. Music, uscì come indipendente e aiutò Mike ad affermarsi come uno dei bombardieri più esperti della scena, seguendo la tradizione di Ice Cube, sputando tonanti ma argute frasi sulla violenza della polizia, l’eredità di Ronald Reagan e su Il signore delle mosche. El-P, al lavoro sui beat, riuscì a mettere in piedi una versione digitale del suono incendiario della Bomb Squad.

Run The Jewels. Foto: Miserianera.com

Decisero presto di formare un duo, ispirati dalle coppie leggendarie che prendevano a esempio, come gli EPMD, gli UGK e gli OutKast. Hanno chiamato il progetto Run the Jewels – costruendosi l’immagine di due chiassosi rapinatori, pronti ad aggredire il mainstream – e con i loro testi hanno combinato la politica più di sinistra con un edonismo da fattoni, legati dal piacere palpabile che provano i due a condividere un microfono. «Quando ascolti le nostre cose, senti che siamo nella stessa stanza», dice El-P. «Questa è la linfa vitale di ciò che mi piace nel rap, tutto parte da un’interazione che spacca». Il loro debutto del 2013 e RTJ2, il seguito del 2014, hanno venduto centinaia di milioni di copie; i loro concerti fanno sold-out in tutto il mondo.

All’improvviso, con delle carriere già attive da decenni, i due si sono ritrovati più felici e di successo che mai. «È molto figo avere 40 anni ed essere nel tuo momento di picco», dice El-P.
Entrano in sala prove. Sono a L.A. per gestire un po’ di affari legati alla release del disco e al tour. Mike, che è ben oltre il metro e 80 e pesa al momento «circa 165 chili», è seduto su uno sgabello dietro un leggìo, sfogliando le stampe dei testi. «Scrivo nel booth e memorizzo tutto durante le prove», spiega, mangiando un sacchetto di Doritos – un momento di indulgenza, visto che vorrebbe perdere una quarantina di chili. Dice che Travis Barker, che ha suonato la batteria con i Run the Jewels, «mi ha fatto scaricare questa app che ti dice dove sono i ristoranti vegani più vicini».

«Se perdi 40 chili, non ti parlo più», dice El-P. «Perché la dinamica del gruppo si basa sull’essere una coppia con un tizio grasso… e uno meno grasso». Fanno partire il nuovo singolo, Legend Has It. Mentre rappano, si guardano in faccia a circa quattro metri l’uno dall’altro. El-P sorride, mentre Mike si alza in piedi e prende a gomitate il leggìo come farebbe un pugile con un sacco. Quando la traccia è finita, El-P guarda in basso e scopre di aver legato i piedi del suo socio con il cavo del microfono. «Cammino di continuo in circolo fino a quando ingarbuglio tutto, che è una buona metafora per la mia vita», dice. Poi indica Mike: «E al centro del labirinto, ho trovato questo coccoloso bastardo».

El-P e Killer Mike si sono conosciuti per la prima volta «in Nebraska», dice Mike. «Su un ring», fa notare El-P. Scherzano: sono fatti e amano cazzeggiare. La storia vera dice che Mike è nato Michael Render. Sua madre, che l’ha avuto a 16 anni, aveva una vena creativa che si manifestò quando trovò lavoro come fiorista. Fu in quel periodo che trovò un secondo lavoro, vendendo cocaina. «Era la stessa clientela», dice Mike: «Ricche donne bianche. Chiedevano: “Mi trovi qualcosa?”. Ci pensò su e capì che poteva farlo».

Mike era in quarta elementare quando disse alla sua maestra, la signorina Ealey, che avrebbe voluto diventare un rapper «come i Run-DMC. Lei mi rispose: “Dovresti fare il pilota”», ricorda. «È stata la prima maestra che mi diceva che fossi intelligente» (per la cronaca Mike proseguì anche la strada del pilota, ndr). Mike venne cresciuto in gran parte da sua nonna, da una tata e da suo nonno, che una volta guidava i camion per la Chattahoochee Brick Co., «che usava la manodopera che arrivava dalle prigioni come schiavitù nel periodo di Jim Crow», fa notare Mike (la sua testa straborda di storie come questa).

È attraverso suo nonno che ha «iniziato a capire le differenze tra le classi e la razza; spesso avevo più in comune con i bianchi della working class che con i liberali sudisti, tanto ammirati da mia nonna, o con i neri benestanti che vivevano a Collier Heights». Quel quartiere, ricorda, «fu il risultato di una gentrificazione programmata: i democratici comprarono le terre dai bianchi più poveri, in modo da portare i voti dei neri al partito».

Suo padre era un poliziotto, suo zio un tipo che faceva i soldi «nelle strade», dice Mike. Servirono come modelli, dentro e fuori la legge. Anche Mike ha avuto a che fare con le droghe per qualche tempo, e sulla traccia dei RTJ Crown parla di uno dei suoi più grandi rimpianti: aver venduto cocaina a una donna incinta. «Lavorare con El-P mi ha permesso di tirar fuori alcuni tra i pensieri e i sensi di colpa più scuri e tumultuosi che ho», dice, commuovendosi. «Vendevo cocaina, e c’erano giorni in cui quella merda mi faceva stare male, perché sapevo, anche se ero giovane, che stavo facendo qualcosa di male. Ma tutti vendevano cocaina! Tutti la vendevano e tutti la usavano». Inizia a piangere, asciugandosi le lacrime dalle guance. «Quel verso è semplicemente uscito da me stesso – non me ne fregava un cazzo che potesse finire o meno nell’album. Mi fregava soltanto che fosse finalmente fuori di me».

El-P e Killer Mike a.k.a. Run The Jewels

Impegnato e intelligente già da giovane, Mike passò del tempo durante la high school impegnato nell’anti-violenza in un gruppo chiamato Black Teens for Advancement. Si innamorò di Fred Hampton e James Baldwin (attivisti e scrittori di colore, ndr) e si iscrisse al Morehouse College – leggendaria scuola per studenti di colore, frequentata da gente come Martin Luther King Jr e Spike Lee. Lì, Mike studiò filosofia e religione. «Volevo capire gli esseri umani», dice. «Ero stato cresciuto come un bambino nero del Sud, dove ti indottrinano verso una religione imposta da un oppressore. Mi ha lasciato un sacco di domande assurde irrisolte».

Nel frattempo, continuava a rappare e, attraverso un suo compagno di scuola, incontrò Antwan Patton, ovvero Big Boi degli OutKast, che premiò il talento grezzo di Mike con un contratto discografico. I primi lavori erano pieni di radicalismo, ma voleva avere anche un certo successo commerciale, in modi che ora ritiene di poco valore: il primo singolo di successo di Mike, una sex jam chiamata A.D.I.D.A.S., arrivò al numero 60 della pop chart americana, ma oggi la ripudia. «È una canzone degli OutKast che sono stato obbligato a pubblicare», dice, «la odio».

El-P, invece, si chiama Jaime Meline ed è cresciuto a Brooklyn. Suo padre era un musicista jazz con un lavoro a Wall Street che odiava; ha sempre incoraggiato Jaime a non lavorare solo per portare a casa lo stipendio. Sua madre, che ha cresciuto lui e le sue due sorelle praticamente da sola, faceva la copywriter in un’agenzia pubblicitaria e gli ha permesso di frequentare una scuola sulla produzione musicale. A 15 anni aveva lo stesso manager dei Mobb Deep. Oltre all’hip hop, amava Steve Reich, le colonne sonore di John Carpenter, Gary Numan e i Devo. Producer fantastico, orgogliosamente sopra le righe, El-P ha sviluppato un’estetica che mescola synth sci-fi con percussioni frenetiche, una sorta di Vangelis del boom bap. Per celebrare il successo con i Run the Jewels, El-P ha recentemente sborsato 25mila dollari per un Yamaha CS-80, «il synth che Vangelis ha usato per la colonna sonora di Blade Runner». Sono eccezionalmente rari, ma Eddie van Halen ne aveva uno in vendita ed El-P ha deciso di investirci dei soldi – il suo suono cosmico è dovunque in RTJ3.

Dopo aver co-fondato i Company Flow da adolescente, El-P si specializzò in rime astratte, ma ebbe un momento di svolta con il pezzo Last Good Sleep (1997), decidendo di parlare di quando il suo patrigno iniziò a picchiare sua mamma. «Pensavo che a nessuno fregasse di sentire quelle robe», ricorda, «ma dopo quella traccia le persone iniziarono ad avvicinarsi a me con le lacrime agli occhi». La traccia spiega la profonda sfiducia nei confronti delle autorità corrotte, che è proseguita con canzoni come Patriotism – un beffardo assalto al capitalismo e all’imperialismo – e, successivamente, nei Run the Jewels.

Non che il duo non abbia lasciato spazio per le battute da cazzoni, le trovate senza senso e le rime su quanto siano più cattivi di tutti gli altri. «La maggior parte delle nostre tracce non è per niente legata al senso civico», fa notare El-P. «È solo una celebrazione del rap e delle cose che ci hanno fatto sorridere, quando abbiamo deciso che avremmo voluto fare i rapper, cioè la parte divertente e quella tecnica di tutta l’esperienza. Poi abbiamo capito che avremmo potuto anche chiuderci in una stanza per farci piangere a vicenda».

Con RTJ3 – che hanno registrato l’anno scorso in uno studio comprato da El-P a New York – hanno scavato più a fondo in questa dualità. Legend Has It è un elogio della spacconeria, ma parla anche dei fenomeni politici che sono finiti nel loro mirino: in Talk to Me, Mike ringhia “In spite of these #AllLivesMatter ass white folk” e parla di un diavolo che usa un “bad toupee and a spray tan”. Negli anni, Mike e El-P hanno preso di mira non solo la destra, ma anche i liberali centristi. In una canzone del 2012, Mike definisce Barack Obama “solo un’altra testa parlante che dice bugie lette su un gobbo”. Nel video per Lie, Cheat, Steal, il duo indossa le maschere di Bush e Obama e si abbraccia in allegria, una gag che suggerisce come i due presidenti siano più amici di quanto dovrebbero essere, viste le diverse ideologie.

Nelle ultime elezioni, Mike è stato un importante sostenitore di Bernie Sanders, tenendo comizi per lui in tv e durante la campagna elettorale. Quando un reporter gli ha chiesto cosa l’avesse spinto verso Sanders, la risposta di Mike è stata impagabile: «Fumarmi una canna e leggere i suoi tweet!». In un’intervista con Stephen Colbert, Mike ha elogiato l’impegno di Sanders per la giustizia sociale, definendolo l’erede di Martin Luther King Jr: «Possiamo eleggere direttamente uno a cui interessano le persone più povere, le donne, i gay, i diritti dei neri, a cui interessano le vite che non sono come la sua». Mike invoca King di nuovo, quando gli chiedo i suoi pensieri riguardo all’antipatia che molti democratici provano per Sanders.

«Penso molto a quello che King scrisse nella lettera dalla prigione di Birmingham: “Starei quasi per arrivare alla spiacevole conclusione che nel cammino dei neri verso la libertà l’ostacolo maggiore non è l’aderente al “White Citizens Council” (Consiglio dei cittadini bianchi, ndt), o l’affiliato del Ku Klux Klan, bensì il bianco moderato”» (e parla ancora spesso con Sanders: «Ci stavamo scrivendo l’altro giorno»).

I Run the Jewels hanno collaborato più volte con l’ex Rage Against the Machine Zack de la Rocha e parlano dei Public Enemy come loro eroi personali (Chuck D, in risposta, ha definito i RTJ delle moderne ispirazioni). Chiedo se si vedano i prosecutori di quella stirpe radical-pop. «Non potrei mai essere tosto come i Rage e i P.E.», dice Mike. «Per me, loro sono più coraggiosi di chiunque altro: apertamente di sinistra, marxisti, super politicizzati. Ma mi hanno spinto a raccontare la verità».

Bernie Sanders e Killer Mike. AP Photo/David Goldman

El-P, che viene definito più cinico dell’ottimista Mike, descrive la sua morale come una devianza estrema dei disadattati sociali: «Voglio che i ragazzi ascoltino da noi la stessa roba che i miei eroi del rap mi facevano ascoltare, era un’attitudine, un approccio alla vita che derivava da un atteggiamento da duri, che non vuol dire avere le stesse cose o essere in controllo allo stesso modo delle persone che ti vogliono soggiogare o che ti guardano dall’alto verso il basso». Aggrotta la fronte. «Significa andare incontro al mistero a testa alta».