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Il D-Day degli organizzatori: «Ora basta: concerti con capienza al 100% e senza distanziamento»

Riuniti a San Siro, i promoter chiedono una data certa per tornare a fare spettacoli “normali” usando il Green Pass. Ecco perché la capienza all’80% ipotizzata dalla Conferenza delle regioni non funzionerebbe

Foto: Tijs Van Leur/Unsplash

Ferdinando Salzano di Friends & Partners, l’organizzatore dei concerti di una buona parte del pop italiano, lo chiama «il nostro D-Day». Niente gesti eroici, né spargimenti di sangue, però: solo una ragionevole proposta. Schierati in tribuna con affaccio sul campo di gioco dello stadio di San Siro, quindici promoter (più uno in collegamento Zoom) hanno spiegato le ragioni dell’appello a Draghi lanciato stamattina affinché siano prese urgentemente decisioni risolutive per il rilancio del settore della musica dal vivo, uno dei più danneggiati dalle misure anti-Covid, con ricavi in alcuni casi pressoché azzerati.

L’appello gira attorno a quattro punti: ritorno al 100% di capienza grazie al Green Pass (nel caso di show al chiuso, mascherine obbligatorie e controllo della temperatura); abolizione del distanziamento; indicazione da parte del governo di una data certa per la ripartenza; istituzione nel corso della prossima settimana di un tavolo con l’esecutivo.

È fondamentale che entrambi i primi due punti siano rispettati. Come ha spiegato Salzano, nei concerti di una certa grandezza non può esserci il 100% di capienza col rispetto del distanziamento. «Il DPCM che regolava le capienze quest’estate permetteva di fare concerti all’aperto con 5000 persone sedute e col distanziamento. Per fare 5000 posti in quelle conduzioni ci vogliono due campi di calcio e mezzo. In Italia non esistono spazi del genere».

La data certa per la ripartenza serve per riprendere fattivamente a organizzare concerti in un settore in cui gli eventi vengono programmati con mesi di anticipo, a volte un anno. «Il rischio è far saltare il resto della stagione concertistica del 2021», ha detto Salzano. «Devono darci delle certezze entro breve mettendoci nelle condizioni di trasferire fiducia al pubblico, che può tornare solo se ha la certezza che gli eventi si tengano».

In quanto al tavolo di confronto, gli organizzatori hanno un piano B con condizioni più stringenti rispetto al Green Pass: concerti accessibili solo a chi ha completato il ciclo vaccinale o è immunizzato. «Ma non vogliamo arrivarci, vorrebbe dire che siamo disperati. Se anche questa azione venisse rifiutata, allora perché ci siamo vaccinati?».

L’appello pubblicato stamattina è promosso da una trentina di promoter e sostenuto circa 300 artisti italiani tra cui big come Vasco Rossi, Cesare Cremonini, Fedez, Tiziano Ferro, Jovanotti, Zucchero, oltre che da Cosmo, il cui tentativo di forzare la mano al governo annunciando e vendendo i biglietti per tre concerti a inizio ottobre senza distanziamento è fallito. Alla conferenza stampa erano presenti solo due artisti, Alessandra Amoroso e Red Canzian. È vero però che non si è mai vista per lo meno in tempi recenti una tale unità fra gli organizzatori. «Abbiamo messo da parte liti e diatribe per ripartire», dice Roberto De Luca di Live Nation. «Non riceviamo contribuiti, né li vogliamo, creiamo indotto, posti di lavoro, cultura, formazione. Eppure siamo considerati la Cenerentola delle arti».

La Conferenza delle regioni ha avanzato la proposta di riaprire prudenzialmente all’80% delle capienze. Maurizio Salvadori di Trident Music ha spiegato perché è un’idea impraticabile. «Per i tour già sold out, cosa facciamo, tiriamo a sorte il 20% di spettatori che non verranno? C’è anche un motivo economico: le nostre aziende fanno utili che vanno dal 2 al 4% sul fatturato. Lavorare col 20% di incassi in meno è quasi impossibile. È una norma che può andar bene per il calcio o per la Formula 1 che vivono con un 60% di introiti legati ai diritti televisivi, non per noi che viviamo solo ed esclusivamente di biglietteria. E poi che beneficio sanitario avremmo a portare la capienza all’80%, con un 20% di posti vuoti distribuiti qua e là?».

Da una parte avere rispettato le regole ha dato credibilità al settore. «Come soldatini abbiamo seguito rigorosamente tutte le indicazioni del governo, nessuno di noi ha suonato così», ha detto De Luca indicando le immagini dei comizi di Giuseppe Conte che passavano su uno schermo. Dall’altra, come ha fatto notare Salzano, il settore non è riuscito a far sentire la sua voce presso il governo perché «siamo stati zitti e buoni». Se è «giunto il momento di alzare la voce» è anche perché, pare di capire, non c’è più alcun senso di colpa nell’avanzare le proprie rivendicazioni. In altri fasi della pandemia, coi morti e la crisi, sarebbe stato assurdo. Ma ora, col vaccino e altri settori che hanno ottenuto concessioni, è il momento di far sentire la propria voce. «Qualche mese fa non eravamo gli unici fermi, si pensi ai ristoratori o agli impianti sciistici», dice De Luca. «Gli altri hanno riaperto piano piano. Noi ancora no. Ora c’è uno spiraglio e magari perché siamo in campagna elettorale per la prima volta i politici iniziano a parlarne».

Le richieste avanzate non sono forti, né mettono sul tavolo novità dirompenti o modalità inedite, e però il momento sembra effettivamente propizio. La conversazione pubblica sull’argomento si è riaccesa nelle ultime settimane, e in particolare negli ultimi giorni dopo il fenomeno della condivisione delle immagini di Conte in campagna elettorale. Anche l’esibizione improvvisata di Salmo, che compare fra i sostenitori di questa iniziativa, per quanto criticata ha avuto un ruolo nel riportare l’attenzione sul problema.

«Fra agosto e i primi di settembre i Måneskin hanno fatto due festival in Belgio e in Austria con oltre 25 mila persone senza distanziamento, col Green Pass, all’aperto e senza mascherina», ha detto Clemente Zard di Vivo Concerti. «E non c’è stato alcun problema per le curve epidemiologiche». Molti altri Paesi hanno riaperto o stanno per farlo usando la certificazione verde. «Perché in Italia no?».

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