Dopo un pomeriggio di danze di strada e ritmi africani, il Mawazine Festival, a Rabat (Marocco), si affida a un headliner svedese. Che si presenta a pezzi come un prodotto Ikea (esce da un anno di costanti problemi di salute), ma non penserete che sia finita qui.
Avicii
In due parole: mi piace se ti muovi
Ha gli stessi vestiti che aveva nel pomeriggio, quando ci diceva di non voler essere chiamato giovane (“non lo sono più, quest’anno compio 26 anni”) e quando cercava di spiegare, con un po’ di imbarazzo, perché dovesse camminare con le stampelle: “Ho tirato male un calcio al sacco da boxe e mi son distrutto il ginocchio. Sì, lo so, è tutto molto stupido”.
La sua dance accessibile e ariosa, dal piglio ottimista, funziona subito. Sono accerchiato da ragazzine che cantano ogni sillaba – è pieno di ragazzini, che domani mattina dovranno tornare a scuola ma chissenefrega, c’è Avicii. Lui tiene alto il beat, mentre sugli schermi scorrono delle animazioni da salvaschermo Windows.
Neanche Aviici sfugge alla maledizione che due sere prima ha funestato Pharrell: quando tira troppo in lunga la transizione tra una hit e l’altra tra il pubblico parte un travolgente po-poro-po-po-po-po.
Avicii si fa un selfie, poi si infila in una inspiegabile deviazione hip hop (in cui passa attraverso Hypnotize di Notorious B.I.G e Niggas in Paris di Jay Z e Kanye West). Ne esce bene, per poi marciare verso Wake Me Up (non prima di aver detto che “è uno degli show più grandi che abbia mai fatto, grazie di tutto Marocco”).
Dei ragazzi alle mie spalle sollevano di peso il loro amico in carrozzina e lo fanno ballare per aria in mezzo alla folla per qualche secondo. È una delle scene di amicizia più belle che abbia mai visto a un concerto quindi, cosa vuoi che ti dica, grazie di tutto Avicii.