Forum di Assago, venerdì 12 ottobre 2018. Day 2 degli U2 a Milano. Questa non è una recensione del concerto, innanzitutto perché non mi è sembrato un concerto. L’eXPERIENCE + iNNOCENCE Tour 2018 è molte altre cose:
1) È una cerimonia di purificazione collettiva, certamente non una novità per i frequentatori dei live degli U2, ma ben diversa rispetto all’epica degli esordi e alla postura da biggest rock and roll band degli anni del grande successo globale. Io non li ascoltavo dal vivo dal tour di Pop (PopMart, 18 settembre 1997, Aeroporto dell’Urbe in Roma, la sera in cui morì un ragazzo per un malore), quando era già cominciata la fase creativa calante della band più importante degli anni Ottanta e Novanta, e sinceramente da questo tour mi aspettavo un raduno memorabile come quelli di una volta, magari popolato da reduci attempati e acciaccati, ma con i cori e gli inni delle mille battaglie. Mi aspettavo, insomma, un concerto rock. E, invece, al Forum di Assago ho assistito a qualcosa di simile a un rito carismatico da chiesa battista, con il cantante predicatore che motiva e beatifica i fedeli convenuti per partecipare a una liturgia sef-help di christian rock.
2) Non fraintendetemi: eXPERIENCE + iNNOCENCE è uno spettacolo favoloso, un’escatologia pop che si sviluppa su tre palchi, più un quarto sospeso in aria e in mezzo a due giganteschi schermi luminosi, progettato dunque per far vivere a tutti gli spettatori il privilegio di vivere l’esperienza, la comunione e il miracolo del rock, sempre in prima fila. Non è un tour antologico, anzi sorprende quanti capolavori manchino dalla scaletta, del resto gli U2 hanno un numero di super canzoni da poter costruire quattro o cinque show contemporaneamente. Eppure stupisce perché la sceneggiatura dello spettacolo è autobiografica, quasi una pièce teatrale che racconta passo per passo il percorso di quattro ragazzi di Dublino che animati dall’innocenza della gioventù hanno conquistato il mondo, sono stati travolti dal successo, si sono persi e poi ritrovati a Berlino dove hanno scritto e registrato Achtung Baby, consapevoli che da lì e da Zooropa, l’album registrato mentre portavano in giro lo show di Achtung Baby, non si sono più ripresi, tanto erano irripetibili quegli album e quanto superflui i successivi, compresi i migliori come il generatore automatico di hit che è stato All that you can’t leave behind (2000) e il sorprendente, ultimissimo, Songs of Experience (2017).
Sul palco Bono parla molto e racconta le emozioni dei giovani U2, il viaggio in Italia che li convinse che non erano soltanto irlandesi ma anche latini, fino alla mefistofelica stagione post Berlino, e all’adulta consapevolezza attuale che aver attraversato indenni tutta questa esperienza di vita, con i suoi alti e i suoi bassi, non può che far riconquistare l’innocenza perduta delle origini. È questo il senso profondo delle due ore di Assago: una seduta pubblica di autocoscienza della band, che si trasforma in un rito collettivo fai-da-te, simile per spirito ma opposta per realizzazione a quella sobria e acustica di Bruce Springsteen a Broadway.
3) eXPERIENCE + iNNOCENCE è anche un’adunata antifascista, contro gli autoritarismi vecchi e nuovi, che mescola nazismo e fascismo con l’attualità e avverte gli spettatori di fare maggiore attenzione proprio quando sembra impossibile che quei tempi bui possano tornare. La band ripesca un brano, Acrobat, tratto da Achtung Baby, inspiegabilmente mai suonato dal vivo prima di questo tour, che è la fotografia esatta del nostro tempo, popolato dai Trump e dai Cinquestelle, dalle fake news e dal pessimismo cosmico. Acrobat è stata scritta dopo il crollo del Muro di Berlino, quando sembrava che fossimo destinati a un radioso futuro di fine della storia e di trionfo ineluttabile della libertà, cosa peraltro avveratasi per oltre vent’anni, ma riascoltare i versi «don’t believe what you hear, don’t believe what you see, if you just close your eyes, you can feel the enemy» e poi «No, nothing makes sense. Nothing seems to fit. I know you’d hit out, If you only knew who to hit, And I’d join the movement, If there was one I could believe in» fa capire quanto l’apparente “nonsense” della poetica di Bono in realtà spesso sia addirittura profetica.
Venerdì sera Bono ha dialogato con Mussolini, chiamato più volte Benito, lo ha preso in giro perché si credeva il «Duce» e perché si vantava di far arrivare in orario i treni, magari per farli arrivare puntuali nei campi di concentramento, ha aggiunto Bono. Inoltre ha ricordato le leggi razziali e, mentre sul mega schermo scorrevano le immagini di esodi biblici causati dalla guerra, il leader degli U2 è entrato a piedi uniti nel dibattito politico italiano, quasi imbarazzato nell’apprendere, soltanto ventiquattro ore dopo aver ringraziato sullo stesso palco il nostro paese per aver dimostrato amore e tolleranza per i rifugiati, che un leader politico italiano possa aver proposto sul serio di chiudere i negozietti etnici alle nove di sera, una riedizione secondo il cantante irlandese del Manifesto della Razza. Infine c’è il momento +Europa, l’ancora di salvezza del mondo affidato alla purezza originaria del progetto continentale; un antidoto al caos contemporaneo, introdotto dal momento più commovente dello spettacolo: la sequenza Summer of Love, in versione acustica, e Pride (In the name of love). Summer of love è una canzone apparentemente leggiadra, ma in realtà è una formidabile “protest song” sull’indifferenza collettiva nei confronti dei disperati che scappano dalla guerra.
Sono abbastanza vecchio da aver visto dal vivo gli U2 nel loro prime time, ai tempi del tour di The Joshua Tree, 1987, e poi ancora di Zooropa, 1993, a lungo uno dei concerti più incredibilmente coinvolgenti che abbia mai visto, e di essere stato un loro fan fin dagli esordi. Gli U2 hanno attraversato diverse fasi: quella band emergente di folk irlandese dei primi due album, Boy e October, quella del rock epico-motivazionale che li ha fatti diventare gli U2, War, Under a blood red sky e Unforgettable fire; quella della più grande rock band del mondo alla ricerca di nuove radici di The Joshua Tree e Rattle and hum; quella della rinascita e del completamento della traiettoria artistica di Achtung Baby e Zooropa; e quella successiva che tra alti e bassi continua a sfornare belle canzoni, marchi di fabbrica, ma che non può reggere il confronto con le epoche precedenti.
Ci provano, gli U2, a non fare i fenomeni da baraccone e la caricatura di sé stessi. E quando senti, come venerdì a Milano, I Will Follow, New Year’s Day, Who’s gonna ride your wild horses, ma anche i più recenti The Blackout, Get out of your own way il fuoco torna a essere indimenticabile. Ma il rock, parlandone da vivo, è un’altra cosa.
Gli U2 suoneranno ancora al Forum di Assago, lunedì 15 e martedì 16 ottobre.