Tagliatelle vegetaria, zuppa faggioli, petto di pollo caprese. Saranno almeno vent’anni che dal menù dell’Osteria Caruso è stato bandito il Toast Hawaii, quell’atrocità gastronomica che Andy Fletcher dei Depeche Mode si faceva preparare nelle pause della registrazione di Construction Time Again. Ma il mood del ristorante, la sua tendenza per così dire “fusion kitsch”, è rimasto lo stesso. Siamo a Berlino, lungo la Köthener Strasse, tra il quartiere fighetto di Mitte e quello turco-scapigliato di Kreuzberg.
A dieci metri dalle porte di Caruso, dietro a una facciata di colonne doriche e austeri fregi primi Novecento, si apre l’ingresso dell’edificio più importante nella storia del rock berlinese: gli Hansa Tonstudios. Il luogo dove fu registrato Heroes di Bowie e Lust For Life di Iggy Pop. Lo studio scelto per quattro volte dai Depeche Mode, da Nick Cave con i suoi Bad Seeds, dagli U2, i Marillion, gli Erasure, gli Alphaville. Un luogo storico, che, dopo tanti anni di attività, prima e dopo la guerra, prima e dopo il Muro, prima e dopo l’elettronica, la techno, Christiane F. e l’eroina, mantiene ancora una caratteristica profondamente rock: fregarsene della tradizione, rifiutandosi di diventare un museo a uso e consumo della fan-base.
Per visitarlo è necessario prenotare l’unico tour autorizzato. In alternativa è possibile approfittare di un piccolo gioiellino, il documentario Hansa Studios, da Bowie agli U2 – La musica ai tempi del Muro, che Sky Arte trasmetterà in due parti il 10 gennaio (a un anno dalla morte del Duca Bianco) e il 17 gennaio.
Di proprietà della famiglia Meisel – che comprò l’intero stabile per 50mila marchi – dal 1975, oggi sotto il brand Hansa resiste solo una mixing room e lo Studio Uno, al piano più alto. Lo Studio Tre caro ai Depeche Mode e la Meistersaal amata da Bowie, assieme al resto dell’edificio, sono in affitto per mille euro al giorno. Ogni domenica, negli ultimi mesi, lo Studio Due è stato occupato da un coro religioso. Lì, durante la Seconda Guerra Mondiale, la Gestapo organizzava i suoi party, e 40 anni dopo Martin Gore dei Depeche Mode si aggirava completamente nudo. Anche Bowie amava questo posto, e lo pretendeva completamente vuoto. Fu proprio da una finestra degli studi, dove oggi c’è un bar interno, che vide il produttore Tony Visconti tradire la moglie con la cantante Antonia Maas, episodio cui si allude in Heroes.
Ad attirare qui i musicisti anzitutto il costo, un decimo di quanto veniva chiesto dagli studi di Abbey Road. Bowie, che a Berlino andò per disintossicarsi ed esplorare il krautrock, fu introdotto agli Hansa per la prima volta dai Tangerine Dream. A quel tempo una stanza dell’edificio era occupata dall’etichetta Ariola, che campava di classica e brani eurotrash (tra cui Albano e Romina). I Depeche dissero di amare “quel che c’era intorno, la città in costante mutamento” e vollero scattarsi una foto sulle scale interne agli Hansa. «Sono la nostra Beatle crossing», scherzano oggi i tecnici degli studios. Chiunque, altrove, l’avrebbe trasformata in una postazione da selfie.
Per Mick Harvey, una delle voci del documentario di Sky, «oggi cerchiamo tutti una nuova Berlino, perché quella che abbiamo conosciuto negli anni ’80, con quella comunità di artisti, non c’è più. Forse bisognerebbe provare più a Est, in Europa. Certamente non a Londra, dove da tempo non succede più niente. Mi diverto di più una notte nella Berlino di oggi, che in anni in quella città». Degli Hansa, il cui futuro resta sospeso tra l’ostinazione dei proprietari a non vender(si) e la furia gentrificatrice di una città che compra ormai ogni spazio, Harvey dice soltanto: «Siamo cambiati tutti in questi anni. Io stesso ho imparato a fregarmene, sono diventato più morbido. Berlino è diventata diversa. Ma gli Hansa devono resistere. Che si mettessero pure a vendere souvenir o magliette, chi se ne frega: basta che continuino a fare musica».
Hansa Studios è una produzione originale Sky Arts production Hub.