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Il nome è una parolaccia e sono in “Perpetuo” tour: ecco a voi i KuTso

Matteo Gabbianelli, del quartetto romano, racconta un anno di successi tra l'apertura di Caparezza a Miami per l'Hit Week e il concerto del Primo Maggio
I Kutso, foto stampa

I Kutso, foto stampa

Il loro nome è una parolaccia (KuTso), il primo EP una richiesta d’aiuto, Aiutatemi, l’album d’esordio una bizzarra presa di coscienza, Decadendo (su un materasso sporco), e il tour che portano in giro per l’Italia è Perpetuo. Il cantante Matteo Gabbianelli, il chitarrista Donatello Giorgi, il bassista Luca Amendola e il batterista Simone Bravi sono il quartetto italiano che ha scosso questo 2014 con testi irriverenti, sonorità rock e concerti all’insegna di travestimenti e nonsense.

Dopo il bagno di folla al concerto del 1° maggio a Roma, hanno aperto il concerto di Caparezza al Postepay Rock In Roma, partecipato all’Hard Rock Live in Piazza del Popolo e percorso in lungo e in largo la penisola per proporre i loro brani Lo sanno tutti, Alè, Fottuto e tutti gli altri contenuti nel primo album Decadendo (su un materasso sporco), prodotto da 22R, Cose Comuni e Metatron. Hanno aperto anche il concerto di Caparezza a Miami, in una delle tappe dell’Hit Week, il più importante festival di musica italiana nel mondo.

Matteo, il nome che avete scelto si scrive KuTso ma si pronuncia “cazzo”, giusto? Com’è nata questa cosa?
È nata ai tempi del liceo, quando scrivevo sul banco le parolacce camuffandole con l’inglese. In realtà l’ho scelta più perché mi piace com’è scritta che per il suono. Ovviamente siamo consapevoli della portata provocatoria della scelta, ma alla fine fa anche sì che si parli di noi.

Questa scelta vi ha mai provocato qualche disagio o problema?
Ehehe, non sai mai veramente se ti ha creato dei problemi! Comunque in generale direi di no. Certo, spesso capita che lo leggano così com’è scritto, ma per me va bene lo stesso.

I vostri testi sono piuttosto irriverenti, non demenziali, ma certo strappano un sorriso a tutti quelli che si riconoscono nelle situazioni che descrivete. Si tratta di una sorta di neorealismo in musica?
In verità noi siamo più intimisti ed esistenzialisti che non concentrati sul sociale. Il sociale è presente, ma in maniera del tutto spontanea ed emotiva.

Cantare in inglese potrebbe darvi maggiori possibilità all’estero.
Io trovo che l’inglese banalizzi un po’ tutto quanto. Chi canta in inglese finisce quasi sempre per avvicinarsi alle sonorità brit, o per emulare i Beach Boys. Quella di cantare in italiano per noi è una scelta. Sappiamo l’inglese e abbiamo anche realizzato qualche cover in lingua, ma vogliamo essere compresi dalle persone che vivono in Italia.

Vi siete ormai specializzati negli “opening act”, questa cosa vi pesa in qualche modo?
Me lo fanno notare spesso ultimamente. Nell’ultimo anno abbiamo fatto 120 concerti, e gli opening act sono stati soltanto gli apici di visibilità all’interno di un percorso che dura da anni. Naturalmente le abbiamo cercate perché ci permettono di esibirci in un’unica data davanti a pubblici diversi, e se ce lo chiederanno ancora continueremo a farlo.

Centoventi concerti in un anno sono davvero tanti, è proprio un “Perpetuo Tour”. Immagino quindi che il live sia la vostra dimensione ideale.
Sì, sono tantissimi e infatti siamo abbastanza stanchi, ma il concerto dal vivo è sicuramente il modo più concreto per vivere la musica. La produzione di un album, ad esempio, è un momento limitato nella vita di una band, mentre il live è l’espressione diretta della musica.

Quali sono i vostri gruppi preferiti?
Ci sono gruppi che stimo particolarmente per il loro percorso e per la capacità di sperimentare che hanno dimostrato. Tra questi sicuramente Caparezza, perché è riuscito a crearsi uno spazio al di là di qualunque canale e di qualsiasi comparazione con l’estero. Poi mi piacciono molto i Fast Animals and Slow Kids, dei quali apprezzo tantissimo l’energia, la carica, e infine anche Jovanotti ha la mia stima.

Tornando alla questione degli opening act, se potessi scegliere un gruppo nazionale o internazionale per il quale vorresti aprire il concerto?
Iggy Pop. Senza dubbio. Anche perché è la nostra fonte d’ispirazione primaria.

Cosa succederà adesso?
Tante cose di cui purtroppo non possiamo ancora parlare, ma soprattutto abbiamo finito il secondo album, che si intitolerà Musica per persone sensibili e vedrà un sacco di collaborazioni con altri artisti, come Er Piotta, Pier Cortese, Alex Britti, Enriques della Bandabardò e tanti altri.

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