Prima di salire sul palco, Florence Welch deve costringersi a entrare in quello che chiama “uno stato di trance”. Per riuscirci usa una playlist – raccolta negli ultimi mesi, mentre si preparava per il tour di supporto all’ultimo album High as Hope – con l’ultimo LP dei White Denim, il semi-rap dei Fontaines D.C. («Sono incredibili», dice) e il soul di Blood Orange. «A volte metto su un pezzo e lo ascolto a ripetizione, una volta dopo l’altra», dice a Rolling Stone. «Devo iniziare a lasciare il controllo a quella cosa che cambia le mie performance – lo spirito dei concerti o non so che altro. Non lo so, non sono davvero io».
Nella scaletta della manciata di date già suonate quest’anno c’era più di metà di High as Hope, e alcuni brani dei tre album precedenti. È un concerto molto emotivo, difficile, e per riuscire a ripetersi ogni sera l’unico modo è arrendersi, dice Florence, non importa quanto sembri una brutta sensazione. Alla fine è tutta una questione di fiducia. «Ho sempre pensato che il palco fosse un territorio sacro», dice.
Può succedere che lo stato di trance la porti dritta verso un disastro. Al Coachella del 2015 si fratturò un piede buttandosi giù dal palco. «Mi sono improvvisamente resa conto di dove fossi», ha detto. «Mi ero tolta la maglietta di fronte a un triliardo di persone, mi sono resa conto di averlo fatto. Ricordo di aver pensato: “Oh dio, che cazzo succede?”. Quando sei in trance e ti lasci andare è così… ma in quel momento è stato diverso. Ho realizzato che non avrei dovuto farlo».
«Ho pensato: “Devo scendere dal palco, mi possono vedere tutti”», continua Florence. «Quindi mi sono buttata, ma l’ho fatto in un modo che mi ha fatto male. Quando sei in trance sei fuori dal tuo corpo, e in un certo senso sei al sicuro: fai cose del genere in maniera così rilassata da non farti male».
A volte la dicotomia tra questo stato e la vera Florence diventa troppo da sopportare. È una sorta di guerriglia tra consapevolezza e malessere, dice. «Credo sia parte della performance in sé, è quasi una scommessa. E non è sempre confortevole. A volte la performance viene fuori dalla rabbia, da tutti i vaffanculo che dico a me stessa».