Andare per la prima volta a New York a registrare dei brani del disco d’esordio non è un privilegio che capita a tutti. Joan Thiele questo l’ha capito, e lo intuisco dalla felicità che leggo nel suo sguardo, mentre ci beviamo una birra in un pub a Midtown Manhattan: «Mi sembra di vivere un sogno».
Se ancora non conoscete Joan Thiele, vi facciamo un breve riassunto: ha 25 anni, abita a Milano ed è facile fare confusione cercando di unire i pezzi del puzzle delle sue origini. Padre svizzero trapiantato in Canada, madre italiana, un’infanzia in Sud America. Ma a far chiarezza ci pensa lei con un deciso «sono italianissima». Noi ci crediamo. Così come crediamo che anche nel nostro paese possano esserci cantanti con una perfetta pronuncia inglese.
Joan scrive e canta da quando è una teenager e, finito il liceo, decide di provarci sul serio. Ne parla a sua mamma, primo possibile ostacolo, che però le risponde così: «Vuoi farlo? Datti da fare» e poi facendosi le ossa organizzando da sola una serie di date in giro per tutta l’Italia, un po’ a caso. Il suo tour bus è una Y10, dove, stipata tra gli strumenti e con 4 amici musicisti, parte per un mini tour di due mesi: «È stata una delle cose più formative che abbia fatto. Certo, anche dura. In alcuni localini sperduti nelle campagne mi guardavano perplessi e mi chiedevano di fare le canzoni della Pausini». Ma i risultati di questa gavetta si sentono tutti, li sente anche l’A&R della Universal durante un concerto milanese di Joan. Un anno e mezzo dopo quell’incontro è uscito il suo primo singolo ufficiale con la major: Save Me.
Prima dell’uscita del singolo, Joan ha lavorato sodo per migliorare quei provini che registrava con chitarra e macbook pro nella sua stanza e che ora stanno diventando le canzoni del suo primo EP.
Proprio per questo, a fine febbraio Joan si è recata negli States, e noi l’abbiamo accompagnata ai Red Bull Studios di Manhattan, a due passi dall’Empire State Building. Degli studi/museo in cui accanto alle sale di registrazione si trovano esposizioni di artisti contemporanei di vario genere. Ma noi siamo qui per fare musica, e per questo ci dirigiamo al piano -1, nello studio B, dove ad accoglierci con una pacca sulle spalle c’è il produttore Chris Tabron. Chris ha 34 anni ed è uno che ha prodotto brani di Beyoncé, Nicki Minaj, Mary J Blige, Common, James Blunt ma anche Jovanotti, ormai suo amico: «Quando Lorenzo è a NY mi telefona sempre. Il problema è che vuole uscire a orari assurdi». Dal 1999 ad oggi, Tabron ha prodotto decine di hit di vario genere, senza riuscire a sceglierne uno preferito: «Mi piace lavorare sulle belle canzoni. Ecco, se “belle canzoni” fosse un genere direi che sarebbe sicuramente il mio preferito».
Da quel momento siamo pronti per una full immersion di tre giorni sui brani di Joan tra registrazioni, ascolti, mixaggi, pranzi seduti sul pavimento e ancora tanti ascolti. Una ricerca dell’accordo perfetto, del suono e della doppia voce che «ci sta troppo qui». Fino alla magica frase che ci fa capire che si può passare alla prossima canzone: «Ok, this is cool!».
Osservare Joan al lavoro mi fa capire due cose: la prima è che per lei questo è il paese dei balocchi (provate a darle torto). La seconda è che la curiosità fa la differenza, sia in studio di registrazione che fuori – le sue continue domande ai tassisti sono diventate una canzone in pochi minuti.
Negli ultimi mesi Joan ha viaggiato un sacco – Brasile, dove è stato ripreso il video di Save Me, Londra e il 16 marzo sarà una degli ospiti del South By Soutwest Festival ad Austin, dove suonerà in anteprima i nuovi brani: «Quando l’ho saputo sono caduta dalla sedia». Chi non ha in programma di andare in Texas nei prossimi giorni dovrà aspettare ancora qualche settimana, quando uscirà il suo prossimo singolo. Intanto questa è l’esperienza newyorkese di Joan, ripresa da Giada Bossi: