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In Svezia arriva il primo festival per sole donne

Ma è davvero la soluzione al problema della 'rape culture'?

Foto di José Fernandes

Il Bråvalla Festival si auto-definisce come “il più grande festival musicale di tutta la Svezia”. Nell’edizione 2017 – che si è tenuta dal 28 giugno al 1 luglio – si sono esibiti Killers, Chainsmokers, Prophets of Rage, Linkin Park e System of a Down. Fin qui tutto bene, nomi grossi e un sacco di pubblico, peccato per le 4 accuse di stupro e le 23 di violenza sessuale.

«Alcuni uomini… non sanno comportarsi», hanno detto gli organizzatori ad AFP. «È una vergogna, ed è per questo che abbiamo deciso di cancellare Bråvalla 2018». La decisione arriva con un anno di ritardo – nel 2016 le denunce di stupro erano state 5, quelle per violenza sessuale 12 – e solo dopo che il Primo Ministro Stefan Lofven si è esposto in prima persona con una dichiarazione sibillina: «Questa storia deve finire immediatamente».

L’anno scorso era intervenuta anche la polizia con Hands Off!, una serie di iniziative di sensibilizzazione al tema che si sono tenute durante il festival (tra cui dei braccialetti colorati) e che sono state traviate a tempo record dai media internazionali come Breitbart, che ha subito dato la colpa agli immigrati. «Nessuno stupratore sarà dissuaso da un braccialetto di silicone, soprattutto se c’è scritto qualcosa in svedese. I colpevoli vengono dal Medio Oriente, non conoscono la lingua».

Ma questa è solo la punta dell’iceberg, la maggior parte delle violenze sessuali non viene denunciata, e quelle durante i festival non sono certo circoscritte al territorio svedese: basta una velocissima ricerca su Google per trovarne due al Glastonbury del 2015, altrettante al Reading e al Secret Garden Party del 2010. E sicuramente qualcuno di voi si ricorderà dello “sciamano tantrico di Pordenone” e di quello scemo che è andato al Coachella con la maglietta “EAT SLEEP RAPE REPEAT”.

C’è chi se l’è presa con il gruppo, raccontando il solito riassuntino di Psicologia delle Folle di Le Bon: «Sono teorie interessanti, ma non sono d’accordo», ha detto la sociologa Chauntelle Tibbals in questo articolo sull’Huffington Post. «Mi sembra un modo per togliere la responsabilità al singolo e diluirla tra tutti gli altri. Sono andata a un concerto di Keith Urban, e 20 o 30 persone sono rimaste immobili a guardare una giovane donna che veniva assalita. Tutti dicevano “Oh, ma eravamo nel mezzo della folla, non potevamo fare niente”».

I festival hanno un problema con la rape culture ed è il caso di affrontarlo. Un tentativo arriva proprio dalla Svezia, dove la comica Emma Knyckare ha lanciato l’idea di un “festival per non-uomini”, provocazione che è diventata prima una campagna Kickstarter e poi realtà. “Statement Festival vuole cambiare le cose”, si legge sul sito della raccolta fondi, “aiutateci a creare uno spazio sicuro per chi vuole andare a un festival senza paura”. La prossima estate, quindi, Statement accoglierà 10,000 “non-uomini” (donne, trans e chi è di genere non-binario) e ne garantirà la sicurezza. È l’evoluzione di quanto fatto dagli organizzatori di Glastonbury (da quest’anno c’è un’area dedicata solo al pubblico femminile), e di Electric Forest, che offre una zona campeggio women-only.

Chiariamoci, è una bella idea e sicuramente avrà effetti positivi. Ma non è come mettere un cerotto su una ferita gigantesca? Il problema è un po’ più complicato e ha a che fare con la misoginia, il victim blaming e in generale la percezione della violenza sessuale nella società: nessuno si dovrebbe sentire simpatico con addosso la maglietta EAT-SLEEP-RAPE-REPEAT e nessuno dovrebbe vergognarsi di denunciare uno stupro solo perché è avvenuto mentre si era ubriachi o sotto l’effetto di qualche sostanza. E, soprattutto, gli organizzatori dei festival devono esporsi. La maggior parte, come si legge in questo pezzo del Telegraph, non vuole neanche rispondere alle domande dei giornalisti per paura di farsi cattiva pubblicità.

Si può agire a più livelli e qualcosa si sta già muovendo. Do Lab, una delle aziende che collaborano con il Coachella, ha messo in piedi un team di dottori ed esperti in grado di individuare chi è in difficoltà o chi potrebbe essere sul punto di subire una violenza, così da poterlo aiutare. «Siamo addestrati per agire velocemente, fornire supporto e creare uno spazio sicuro per chiunque dovesse averne bisogno», ha spiegato la coordinatrice Erica Seigel.

Tutti i festival dovrebbero armarsi di iniziative del genere, alcune piccole (come aumentare l’illuminazione) e altre più grandi: migliorare la sicurezza, educare il pubblico, creare spazi dove denunciare questi crimini sia semplice e immediato. Un festival per “non-uomini” è una bella idea, sicuramente figlia di ottime intenzioni, ma non può bastare.

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