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Isgrò, lasci perdere Roger Waters

Tutte le assurdità della battaglia legale tra l'artista concettuale e l'ex Pink Floyd, una litigata inutile che speriamo finisca presto
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La copertina di "Is This the Life We Really Want?" di Roger Waters

Isgrò, la prego, lasci perdere. Adesso salta fuori che ci sarebbe un patteggiamento tra l’artista siciliano e Roger Waters, dopo che il primo ha denunciato per plagio il secondo per la copertina dell’ultimo album. Insomma potrebbe finire a tarallucci e vino, con un accordo per riconoscere a Emilio Isgrò il “diritto d’autore” sulla cancellatura. Non faremo i paraculi e non diremo che sarebbe come dover pagare Jeff Koons per usare i palloncini a forma di cagnolino o gli eredi di Fontana per tracciare un taglio, perché è vero che la copertina di Is This the Life We Really Want? è esteticamente la copia (quasi certamente inconsapevole) di un’opera di Isgrò e non un semplice riferimento al concetto di cancellatura.

È brutto però vedere un grande artista piegarsi alla logica dei ricorsi per far ritirare un album dai mercati. Ed è patetico vedere il ricorso al ricorso e probabilmente il ricorso al blocco del ricorso, in questa Italia dove spesso i tribunali sono il rifugio degli eroi del vizio di forma, dei paladini della burocrazia.

Qui però la questione è un’altra, è ben più importante e per capire la posta in gioco dobbiamo spiegare il percorso e il ruolo di Isgrò nella storia dell’arte contemporanea. Nasce artisticamente negli anni 60’ (anagraficamente a Barcellona Pozzo di Gotto nel 1937) ed è nella poesia che trova la sua prima forma di espressione. Si occupa delle pagine culturali del Gazzettino e vedendo le continue correzioni di giornalisti e scrittori capisce che nel segno della cancellatura si manifesta un linguaggio esplosivo.

La copertina dell’album di Waters

La società massmediatica prende il sopravvento in quel periodo, così come i consumi eccessivi. I negozi aumentano e le case, da luoghi chiusi a chiunque non fosse uno stretto familiare, diventano il palcoscenico per mostrare a vicini, amici o conoscenti il proprio potere d’acquisto, la più in voga delle qualità. Ovviamente la televisione, che proprio in quegli anni entra nelle case di ognuno, diventa oracolo.

Isgrò in quel contesto vede l’inadeguatezza e il deperirsi della parola, che non può più nulla di fronte al potere dell’immagine. Comincia quindi con le cancellature, che in realtà non sono un modo per negare la parola, ma per esaltarla. La sua peculiarità diventa quella di svelare celando, ed ecco che la parola si fonde con l’immagine e non è mai stata così presente. È un’arte positiva, perché se due negazioni si annullano a vicenda, una continua negazione afferma all’infinito.

La sua è un’iconografia potentissima, che arriva persino a ribaltare i termini di arte concettuale conosciuti fino a quel momento. Come lo scultore parte da un blocco di marmo e toglie con lo scalpello fino ad arrivare all’opera, Isgrò cancella per compiere la sintesi perfetta tra le più alte forme di comunicazione umana: parola e immagine. Il mondo si accorge di lui molto presto. Espone nei più prestigiosi Musei, vince premi internazionali, espone alla Biennale di Venezia molto spesso.

Un’opera di Isgrò

In tutto questo non abbandona la scrittura: con il libro di poesie Brindisi all’amico infame (Aragno), nel 2002 è finalista al Premio Strega e vincitore del Premio San Pellegrino. L’anno scorso Milano gli ha dedicato una grande omaggio, con una bellissima mostra antologica a Palazzo Reale e progetti in altre sedi. Questa presentazione è doverosa per tracciare il cammino di un eccezionale artista che adesso dovrebbe lasciare perdere la causa contro Roger Waters per un motivo molto semplice: le sue opere sono arte, quella copertina no.

Non vogliamo sminuirla, per carità, ma arte e grafica sono due cose diversissime, perché sebbene in un certo senso facciano entrambe parte dell’ambito della creatività, l’arte è assoluta, la grafica è funzionale. La forza intellettuale delle opere di Isgrò non si trova in quella copertina, che è stata disegnata da un’agenzia che probabilmente non ha mai visto le sue opere e che se le avesse viste avrebbe realizzato il lavoro in modo diverso.

Non sto sottovalutando la grafica, ma facciamo attenzione perché se tutto è arte, più niente è arte. Questa d’altronde è una parola che si sta svuotando di significato, come tutte quelle abusate. È una cretinata dire che gli chef sono artisti della cucina o gli atleti gli artisti dello sport. Non confondiamo gli àmbiti, perché fa male a ogni categoria.

La cover di “White Light / White Heat” dei Velvet Underground

E allora Isgrò lasci perdere, non si immischi in una faccenda che non riguarda il suo meraviglioso lavoro. Lui, che ha inventato un linguaggio, chiuda questa partita con un sorriso, lo stesso che ci riporta alla mente Vacanze intelligenti con Alberto Sordi, quando alcuni visitatori della Biennale di Venezia arrivano a scambiare la mitica Anna Longhi per un’installazione artistica di Gilbert & George e la vogliono comprare per 18 milioni. «Ma porca mignotta, chi so’ questi?», chiede a Sordi.

Ecco, caro Maestro Isgrò: chi so’ questi? Sicuramente non gente che vuole copiarla o mancarle di rispetto. Con una piccola forzatura le diciamo che Rothko non ha chiesto i diritti ai Velvet Underground per White Light/White Heat, la cui cover ricordava le sue tele nere. Lasci che questo album circoli liberamente e che la gente possa cogliere la differenza tra una copertina e una sua opera. Se eviterà la guerra a suon di ricorsi, alla fine questa storia avrà fatto bene a tutti.

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