A 73 anni suonati in tutti i sensi, James Senese è ancora una fonte inesauribile ed ecologicamente sostenibile di energia positiva. È impegnato con i suoi Napoli Centrale in un tour bello intenso, che lo porterà il 3 novembre nella rassegna di JAZZMI a Milano, ma la cosa non sembra pesargli minimamente («più suoniamo e più ci divertiamo» mi dice al telefono) e soprattutto non gli impedisce di stregarti con la sua risata baritonale.
Anche per uno come lui però a volte riesce difficile mantenere il sorriso in tempi come questi.
Come procedono le date?
Il tour è ottimo, ci stiamo divertendo.
Non è un po’ stancante?
Assolutamente no, noi più suoniamo e più ci divertiamo. C’è più allegria per tutti.
Come rispondono gli italiani al dialetto napoletano? Lei l’anno scorso ha anche vinto la Targa Tenco per il miglior album in dialetto.
Diciamo che è l’unica lingua che io conosco, a parte l’italiano. È l’unica con cui riesco a esprimere i sentimenti, e questo gli italiani lo sanno molto bene. Solo in napoletano si possono dire certe cose. Io per il 99% canto in napoletano, è così che mi riesco a esprimere meglio. Quando mi dicono che i dialetti stanno sparendo, spero sempre il contrario. Sarebbe assurdo.
Nel caso di Napoli, fra le nuove generazioni sta spopolando Liberato. Lei che ne pensa?
Lo conosco ma non riesco a capirlo. Non riesco a capacitarmi del suo successo. Niente in contrario, ma a livello di messaggio non riesco proprio a capirlo. Magari sono io fuori tempo, anzi sicuramente.
Il suo ultimo disco live è appunto Aspettanno ‘o tiempo. Che rapporto ha raggiunto con il tempo?
Il tempo è la nostra vita. Il tempo ti dà ragione, porta consiglio. Si dice così. Di tutti i pensieri. Io aspetto il tempo perché è un fedele amico, col tempo tutte le cose salgono a galla. Chi dice la verità e chi no, sarà solo il tempo a stabilirlo. Chi è onesto aspetti. Poi il tempo arriverà.
43 anni fa usciva Napoli Ceentrale. Com’era l’Italia di un tempo?
Era tutta una scoperta. Si scoprivano da una parte i sentimenti e dall’altra il resto del mondo. Era bella e Napoli lo era ancora di più. Potevi camminare per strada con l’oro addosso, con i milioni. Ora non puoi camminare manco co’n’euro in tasca.
La gente magari era anche un po’ più aperta mentalmente?
Più che altro funzionava tanto il sentimento della famiglia. Ci si aiutava l’uno con l’altro anche se non si era parenti. Capito? Se avevi bisogno c’era sempre qualcuno che era disposto a darti una mano. C’era molta più umanità.
E sicuramente se avevi la pelle scura era più facile girare rispetto a oggi.
Diciamo che io sono ancora mezzo fortunato, ma fino a un certo punto. Siamo tutti uguali, ma quando toccano questo argomento per colpa di una decina di persone che muove le masse, beh allora mi incazzo. Nella nostra società ci sono i buoni e i cattivi. I cattivi sono anche pochi, ma fanno sentire di più la loro voce. Perché l’odio fa più rumore. Io la prendo sul ridere, cerco di prenderla ironicamente. Ma con molta fatica. È una cosa che fa molto incazzare. A volte fa paura scendere in strada perché ti prendono per un diverso. Anche a me succede. Se qualcuno non mi conosce, mi scambiano per un africano. Anche se lo fossi, queste cose non devono succedere. Non dobbiamo avere paura di ciò che è diverso da noi.
È di questo che parla in Ngazzate Nire.
Per forza, bisogna scherzarci e soprattutto parlarne. Altrimenti ti chiudi dentro e non ne esci più. Comunque non riguarda solo il razzismo, è anche il vicinato che ti guarda in un certo modo, la gente che non ti rispetta. Il razzismo è questo, la paura per il diverso.
Nell’album c’è anche un pezzo che le ha scritto Bennato. Siete amici?
A Napoli siamo un po’ tutti amici. C’è molto rispetto. Edoardo mi ha regalato questo brano chiamandomi un giorno e dicendo: “Tiè, l’ho scritto per te.” E io gli ho detto “Ejà, fammelo sentire”. Un bel pensiero, vero ed elegante da parte sua. Ho sempre rifiutato di farmi scrivere qualcosa da qualcun altro. Sono un uomo molto difficile sotto questo aspetto, anche perché è molto difficile scrivere qualcosa alla Battisti, capito? Oggi non succede più. Anche perché molta della gente capace a farlo non c’è più.
Come Pino Daniele. C’è stata polemica tra l’altro per il famoso concerto in suo onore al San Paolo di Napoli.
L’abbiamo visto tutti quanti: è stato un disastro. È stato duro gestire quella situazione. Gli organizzatori non hanno colpe, sono i mass media che comandano. Il capitano e il tenente. Hanno stravolto tutto dando una comunicazione sbagliata, solo per fare business.
È vero che ha recitato in un film di John Turturro?
Sì, due o tre ne ho fatti con Turturro. Siamo amici, mi ha chiamato lui e ho fatto quello che mi ha chiesto di fare. È stato molto divertente. Anche in un film di Troisi ho interpretato la parte di uno che viene ucciso. Ogni tanto mi chiamano e io ci vado volentieri. Ma non posso dedicargli troppo tempo, perché sono troppo legato alla musica.