«I primi anni dei Doors mi sembrano uno strano e bellissimo sogno psichedelico» disse John Densmore, «Un sogno che credo sia avvenuto davvero». Il batterista dei Doors collaborò all’edizione di un cofanetto in edizione limitata, London Fog 1966, che contiene le prime registrazioni dal vivo mai fatte dalla band, tra cui quella fatta da un loro amico di una parte di un concerto al club The London Fog sul Sunset Strip: sette cover sature di tastiere di classici blues e R&B di Muddy Waters, Wilson Pickett e Little Richard insieme alle prime versioni di pezzi originali come Strange Days e You Make Me Real poi uscita nell’album Morrison Hotel.
Il cofanetto conteneva anche fotografie in bianco e nero, la riproduzione di un sottobicchiere del London Fog, una cartolina e la copia della scaletta di un concerto scritta a mano da John Densmore: «Manca solo un pezzo di uno dei vecchi tappeti del locale che puzzavano di birra sgasata. Il London Fog era una vera fogna».
London Fog 1966 rievoca il periodo formativo dei Doors, che suonano insieme da pochi mesi. Hanno debuttato dal vivo alla facoltà di cinema della UCLA durante la proiezione di un film di Ray Manzarek, poi hanno suonato ad alcune feste di amici e ad un party privato alla Hughes Aircraft, la ditta di aeronautica in cui lavora il padre di Manzarek. Nel gennaio 1966 il proprietario del London Fog gli offre la possibilità di suonare per la prima volta un set di 45 minuti dalle 9 di sera alle due di notte, ogni sera per sei giorni a settimana. Secondo la biografia di Jim Morrison Nessuno uscirà vivo da qui, guadagnavano 5 dollari a testa durante la settimana e 10 nel weekend.
«Il palco era così alto che ci voleva la maschera ad ossigeno per stare là sopra» ricorda Densmore, «Avevo sempre paura che Jim precipitasse di sotto. Intorno al palco c’erano delle stupide corde da circo che in teoria dovevano proteggerci. Era assurdo. Di fronte invece c’era una gabbia in cui si esibiva la go-go-girl Rhonda Layne. Era sovrappeso, indossava una minigonna e stivali alti e ballava il twist, il “frug” e gli altri balli dell’epoca ma certamente non aveva idea di come ballare un pezzo come The End. Come fai a ballare il “frug” su The End? Il pubblico ci guardava come se fossimo una band di pazzi, poi suonavamo Lucille e si tranquillizzavano: “Ok, è Little Richard”».
«La capienza era di 50, 60 persone massimo» dice il chitarrista Robby Krieger, «Era solo un bar». La prima sera i Doors riescono a riempirlo chiamando tutti i loro amici, («Il proprietario era al settimo cielo: “Hey, questi ragazzi hanno un pubblico”» racconta Krieger), ma il secondo giorno non c’è quasi nessuno. «Nelle registrazioni si sentono tre persone applaudire. Se andava bene riuscivamo ad averne dieci». Il London Fog li annuncia con una locandina con scritto: “The Doors, una band di Venice”. (nel cofanetto c’è una replica in formato cartolina): «Eravamo dei bohemienne e quella era la vecchia zona dei beatnik» disse Densmore «Ma i frequentatori abituali del London Fog erano soprattutto marinai e pervertiti di ogni genere».
In questo periodo in cui i Doors si fanno le ossa provando sul palco le canzoni che nel gennaio successivo usciranno sull’album di esordio della band, The Doors. «Suonare davanti ad un pubblico, anche se composto da sole dieci persone alza la posta» dice Densmore, «Ci ha forzato ad analizzare tutto per migliorarci. Jim non aveva ancora sviluppato l’intonazione baritonale della sua voce, e nel mio modo di suonare c’era molto testosterone. Stavo imparando che la cosa più importante in una band sono le dinamiche». Conquistano fiducia sul palco, anche se Jim si esibisce di spalle al pubblico, rivolto sempre verso i suoi compagni di band: «All’inizio Jim non cantava bene e non parlava mai, cercavamo sempre di farlo girare per farlo interagire con il pubblico» dice Krieger.
«Cantava sempre in modo agitato» aggiunge Densmore, «Nelle registrazioni dei concerti al London Fog sembra fatto o ubriaco. O forse no, è solo contento». Per conquistare il pubblico i Doors imparano alcuni brani ballabili: «Forza, ballate! Qualcuno si faccia avanti» dice Jim Morrison prima della cover di Baby Please Don’t Go di Big Joe Williams. Tra i loro pezzi preferiti ci sono anche Gloria dei Them e Don’t Fight It di Wilson Pickett, inclusa nel cofanetto London Fog 1966. «Avevamo visto Wilson Pickett farla al Whisky a Go-Go e ci era piaciuta» dice Krieger, «Sceglievamo i pezzi che ci piacevano e quelli che non facevano anche gli altri gruppi. Volevamo essere diversi».
Cercano anche canzoni insolite: «Avevamo tutti una buona collezione di dischi, tranne Jim che non aveva un posto fisso dove stare. Viveva a casa delle ragazze che incontrava. Ray aveva molti dischi e anche mio padre, vecchi 78 giri e cose rhythm&blues». Scoprono Back Door Man grazie alla copia di Krieger della versione di John Hammond e His Screamin’ Nighthawks e decidono di suonarla con quell’arrangiamento invece che con quello dell’originale di Howlin Wolf. Scoprono anche Alabama Song su un disco di Lotte Lenya che faceva parte della collezione di Ray Manzarek, un pezzo che secondo Krieger «Non era per niente rock&roll», e a cui aggiungono nuovi accordi sostituendo gli arrangiamenti di archi.
«Suonavamo anche John Lee Hooker» dice Densmore «Un giorno abbiamo ascoltato Crawling King Snake e io ho detto agli altri: “Dobbiamo registrarla, siamo noi!” Abbiamo dovuto aspettare fino a L.A.Woman ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Ascoltavamo anche Ravi Shankar, e sicuramente qualcosa è filtrato dentro The End». «Eravamo giovani, era il nostro momento» dice Krieger, «Jim ha spiegato bene quel momento di creatività quando ha detto che si sentiva come la corda di un arco che è stata tesa per 22 anni e viene lasciata all’improvviso».
Krieger, che nel 1966 aveva appena compiuto 20 anni, racconta di aver creato il suo stile di chitarra suonando al fianco di Ray Manzarek in una band che non aveva il basso, e in cui la base musicale era composta solo da tastiere e chitarra. Krieger è un appassionato di flamenco che ha cambiato genere dopo aver ascoltato Bob Dylan, Joan Baez, Mike Bloomfield e gli album blues prodotti da Paul Rothchild, ma non ha mai suonato in una band. «Ray faceva le parti di organo e di basso e lasciava molto spazio per la chitarra, quindi avevo la libertà di suonare cose che non avrei potuto suonare con un’altra band. Anche la batteria di John era diversa dalle altere band perché sia io che lui suonavano seguendo Ray. John era in grado di rispondere ai fraseggi di Ray».
Questa combinazione di suoni si sente già in alcuni dei pezzi originali registrati al London Fog tra cui una versione lenta di Strange Days e una soul di You Make Me Real. Nella scaletta dei concerti c’era anche The End ma la registrazione è andata perduta e quindi non c’è stata nel cofanetto London Fog 1966. The End nasce dalle sperimentazioni della band e da quello che Densmore definisce «Il melting pot» tra il flamenco di Krieger, il blues di Chicago di Manzarek e le sue influenze jazz.
Le prime registrazioni dei Doors erano «Magiche», perché componevano partendo dalle idee di Morrison: «Jim stava seduto sul divano e diceva: “Hey, non so scrivere canzoni ma ho tutte queste parole in testa e l’unico modo in cui riesco a ricordarle è con le melodie”. Le cantava a cappella. Canzoni come Crystal Ship hanno una melodia complicata, ma lui la cantava e noi trovavamo l’accordo giusto per accompagnarlo. Non sapeva suonare nessuno strumento ma aveva un’orchestra in testa». Per quanto riguarda i pezzi in cui Jim suona l’armonica, Densmore dice: «Era assolutamente il peggior suonatore di armonica sulla faccia della terra ma voleva disperatamente diventare un musicista. Ci provava, alla fine è migliorato un po’ ma non è mai diventato Mick Jagger».
Jim apprezza il talento dei suoi compagni e compie un gesto che Densmore non ha mai dimenticato: «Ha detto: “Dividiamoci i diritti delle canzoni”. È stato un momento fondamentale, non credo che nessuno lo abbia mai fatto dagli anni ’30 in poi. Ci siamo subito sentiti coinvolti al 200 per cento. Quando siamo diventati famosi capitava che ai concerti ci annunciassero come “Jim Morrison e i Doors”, ma lui andava a prendere l’annunciatore lo trascinava fuori sul palco e gli faceva dire: “The Doors”. Jim era la star, il frontman, ma dietro le quinte eravamo tutti uguali».
Krieger ricorda che in origine The End era un pezzo molto meno complesso, senza quella che definisce «La parte edipica». «Era una canzone d’amore, una di quelle che Jim ci cantava a cappella. Noi improvvisavamo e nelle parti strumentali Jim era libero di recitare le sue poesie. Con il tempo l’ha trasformata in un pezzo epico e visivo con un immaginario apocalittico alla Francis Ford Coppola. Ma all’inizio era una canzone d’amore molto toccante, con una melodia bellissima».
È stato il pubblico del London Fog a contribuire alla trasformazione: «Rob ha sperimentato con un’accordatura Indiana per la sua chitarra e ha dato alla canzone un tocco trance» racconta Densmore «Volevamo provare ad ipnotizzare tutti. I pochi che venivano a vederci al London Fog erano sempre ubriachi o sballati di erba, noi li vedevamo ondeggiare e dicevamo: “Funziona, li abbiamo ipnotizzati”. The End è stata creata come un raga indiano, un drone sonoro di 10 o 15 minuti con un crescendo finale. Io e Robby siamo stati alla scuola di musica indiana di Ravi Shankar, lui suonava il sitar e io le tablas. Ravi ci diceva: “Voi americani dovete imparare ad essere pazienti. Con la musica indiana ci vuole tempo per raggiungere l’orgasmo”. Non ha detto proprio “orgasmo” ma il senso era quello. È così che abbiamo sviluppato The End: ho pensato di aumentare gradualmente il tempo per fare muovere il pubblico, farli alzare e ballare, e poi accelerare fino a farlo diventare frenetico per sfinirli».
I concerti al London Fog finiscono spesso nel caos. Una sera scoppia una rissa e la colpa viene data alla band. Densmore giura che non c’entravamo niente, ma vengono licenziati: «Era un posto schifoso». Ma la fortuna è dalla loro parte: Ronnie Haran del Whisky a Go-Go li vede sul palco del London Fog l’ultima sera e gli offre di suonare nel suo locale. «Ci siamo detti: “Forse riusciremo a pagarci un affitto”» dice Densmore. «Arrivati al Whisky abbiamo suonato ogni sera per tre o quattro mesi, facevamo i nostri pezzi e studiavamo la reazione del pubblico. Dal vivo riesci a capire se una canzone funziona oppure no. Quando abbiamo lasciato il Whisky avevamo abbastanza materiale per tre album».
All’inizio della loro permanenza al Whisky, Densmore confessa di essere stato geloso dei Love che erano arrivati su quel palco prima di loro: «Pensavo: “Io suono meglio del loro batterista, perché non sono lì?”. Ma è stato proprio il cantante dei Love, Arthur Lee, a parlare di noi al presidente della Elektra, Jac Holzman. Un gesto bellissimo».
La band entra in studio ad agosto del 1966, ci rimane per cinque giorni e dopo un mese esce con il primo album The Doors, che arriva al n.2 in classifica in America e vince quattro dischi di platino.
Oggi Robby Krieger suona jazz fusion con alcuni ex membri della band di Frank Zappa. Ogni tanto si aggiunge suo figlio Waylon alla voce. Nel 2010 ha pubblicato l’album solista Singularity e spera di farne presto un altro. Nel 2017 ha fatto un tour ed è stato contattato per suonare al 53esimo anniversario dei Whisky a Go-Go. John Densmore sta lavorando al suo terzo libro sui «Musicisti con cui ho collaborato». Alla domanda se suona ancora la batteria risponde: «Cerco la musica tra le parole». Jim Morrison è morto nel 1971, Ray Manzarek nel 2013.
In occasione del cinquantesimo anniversario della nascita della band, i Doors hanno programmato l’uscita di una serie di rarità provenienti dal loro archivi: «I concerti del London Fog sono solo l’inizio» dice Densmore, «Ci saranno anche un paio di film, tra cui uno mai visto prima, di cui sono entusiasta». Densmore parla degli anni con i Doors come di «Un sogno folle e bellissimo» e usa la metafora di un treno per spiegare come funzionava la band: «Jim era il motore, Ray buttava il carbone nella locomotiva, Robby scriveva delle grandi hit che ti catturavano subito e io ero la carrozza letti. Stavo in fondo al treno. Mi piaceva anche se ero consapevole dell’istinto autodistruttivo di Jim e cercavo sempre di azionare il freno di emergenza. Ma ero giovane, e non c’erano ancora cliniche di disintossicazione. Non sapevo che Jim fosse alcolizzato, spesso c’era tensione tra noi ma sapevo che stavamo creando qualcosa che sarebbe durato nel tempo. Pensavo che sarebbe durato 10 anni e invece ne sono passati 50». I Doors hanno fatto l’ultimo concerto con Jim Morrison il 16 dicembre 1970.