La recensione che state per leggere è apparsa per la prima volta su Rolling Stone il 9 novembre 1968
È un po’ che sono stanco del “reactive noise” e mi sono messo ad ascoltare questo album con l’intenzione di non farmelo piacere. Ma non è andata così. Hendrix è un bravo musicista e i suoi voli fantascientifici sovrastano tutto il rumore. Non ce n’è un vero concept qui (niente trip alla Sgt. Peppers), ma una certa unità, un flusso di energia. L’album si apre con un brano costruito su loop e phaser (Itchy Coo Park degli Small Faces è un ottimo esempio di phasing) intitolato And the Gods Made Love. «Sapevamo che tutti avrebbero criticato quel pezzo», ha detto Hendrix in un’intervista, «ed è per questo che l’ho messo in prima posizione, per non pensarci più».
E sì, la scelta è tutta di Hendrix, che ha prodotto e diretto le session. Il secondo brano in scaletta è Have You Ever Been (To Electric Ladyland), una favola allucinogena che fa da introduzione al resto del disco. Poi arriva Crosstown Traffic, un ballabile dal ritmo potente. “90 miles an hour is the speed I drive, girl”, canta Hendrix mentre paragona una donna al traffico – “It’s so hard to get through you”.
Poi una registrazione live che sembra presa direttamente da una di quelle jam che Hendrix suona nei club e che l’hanno reso famoso in tutto il mondo. Ci sono Steve Winwood all’organo e Jack Casady al basso, e si intitola Voodoo Chile. Il pezzo – dopo un’intro di chitarra alla John Lee Hooker – è un blues, sì, ma il testo di Hendrix non ha niente a che vedere con quello di Rolling Stone (la canzone di Muddy Waters ha ispirato Jimi, Dylan e molte altre cose). Dopo qualche strillo di feedback e l’urlo di un fan – “Turn that damn guitar down!” – arriva la fine, dove Hendrix e una ragazza si ritrovano bloccati di fronte a un club con le porte sbarrate. “Il bar è chiuso?”, chiede la ragazza con tono sorpreso.
Sì, e con lui anche la prima parte dell’album. Il Lato B inizia con una canzone scritta dal bassista Noel Redding, Little Miss Strange, probabilmente la più commerciale di tutta la scaletta. È un hard rock piuttosto classico, e la cosa più interessante sono gli unisoni di chitarra (probabilmente sovraincisi, a meno che Hendrix non sia riuscito a farsi crescere un altro paio di braccia). Poi Long Hot Summer Night, un brano ispirato a Visions of Johanna, e Come On, una composizione rock/soul inframezzata dal break di chitarra più bello di tutto il repertorio di Hendrix.
Spero che Jimi riesca ad arrivare sulla Luna prima di tutti
Gypsy Eyes è interamente strutturata sulla sezione ritmica, che disegna un ritmo leggero che si stampa subito sulle sinapsi e minaccia di restarci per sempre. Se fosse davvero possibile fischiettare Hendrix, io inizierei da qui. Il Lato B si conclude con Burning of the Midnight Lamp, l’ultimo singolo pubblicato in Inghilterra la scorsa estate. È una ballad pazzoide con un testo dimenticabile… che non serve a niente.
Il Lato C è ambientato sulla riva dell’oceano. Si apre con Rainy Day, Dream Away, dove Hendrix suona insieme a una piccola band (c’è anche Buddy Miles alla batteria, direttamente dai Flag). Poi 1983: A Merman I Should Be (il “merman” è il fidanzato di una sirena, a quanto pare): un brano ambientato nel futuro, su una Terra che Hendrix immagina sull’orlo del baratro, distrutta dalla guerra. Il chitarrista e la sua donna scappano da questo paesaggio desolante, e sognano di vivere nell’acqua. Il mood sottomarino è costruito alla perfezione dalla chitarra malinconica e dal flauto di Chris Wood (dei Traffic); qualche minuto dopo, però, Hendrix lo distrugge con una manciata di distorsori. Appena l’ho ascoltata ho pensato, ma perché l’ha fatto? Poi ho capito, Jimi ha creato un mondo meraviglioso e ha deciso di farlo a pezzi prima che lo facesse qualcun altro. Una delusione. Per fortunaMoon Turn the Tides Gently Gently Away, un altro brano elettronico, fa riposare il cervello e conclude pacificamente il Lato C.
L’ultima parte dell’album si apre con il seguito di Still Raining, Still Dreaming, una versione più heavy e funky – forse troppo (una pioggia di ferro fa male, Jimi). House Burning Down è il suo primo pezzo socialmente impegnato, sì, ma il testo va a finire nello spazio come tutti gli altri. “an eerie man from space… come down and take the dead away”.
Ed ecco il nuovo singolo, All Along the Watchtower – probabilmente il brano più interessante del lotto. Ascoltare il primo Hendrix non era un’esperienza alla portata di tutti: la struttura era assente; la ritmica schizofrenica e piena di variazioni difficili da seguire. Qui, invece, basta ascoltare la chitarra ritmica per capire che allo strumento c’è un Maestro: Jimi ha costruito il suo arrangiamento pazzoide senza mai mancare di rispetto alla scrittura di Dylan. Non tradisce mai le atmosfere del testo, anzi; la sua chitarra è la perfetta traduzione musicale della frase “the wind began to howl”. L’ultimo brano in scaletta è Voodoo Child (Slight Return), questa volta suonata in studio con la formazione classica. Una versione decisamente più trascinante.
In altre parole, ascoltare Electric Ladyland è come farsi un lungo viaggio nel cervello di Hendrix, che a quanto pare è pieno di belle cose. Un po’ di pensieri in libertà per riassumere l’esperienza; Hendrix è il Robert Johnson degli anni ’60, il primo musicista a suonare la chitarra elettrica. Ricordatevi sempre che ha usato il wah-wah prima di Brave Ulysses, e che è ancora il migliore di tutti. Ed è davvero bello sentirgli suonare un po’ di blues, vorrei che lo facesse più spesso.
Insomma, Hendrix è un astronauta psichedelico??? Oppure è solo un musicista/produttore davvero bravo? Dipende da quale organo sensoriale vi piace usare di più, gli occhi o le orecchie? (Ah, se volete volare ascoltatevi il disco in cuffia, e godetevi la chitarra che oscilla da sinistra a destra). Jimi è incredibile, e spero che riesca ad atterrare sulla Luna prima di tutti. Se continua a suonare così ce la farà senz’altro.