Anche Jimmy Page si è unito alle proteste degli artisti contro le nuove leggi sul copyright proposte dal governo inglese, che potrebbero favorire le aziende di Intelligenza Artificiale a scapito della creazione da zero da parte degli artisti.
La prima reazione era arrivata qualche giorno fa da parte di un gruppo di mille artisti, tra cui Damon Albarn e Kate Bush, che avevano pubblicato un album collettivo interamente muto in segno di protesta. Poi era stato il turno di Brian May, che aveva rincarato la dose, definendo il futuro della musica e della creatività «già cambiato per sempre».
Ieri, il chitarrista dei Led Zeppelin ha detto la sua in un post Instagram: «Negli studi disciplinati della Londra dei primi anni Sessanta, ho affinato la mia arte come musicista di sessione, prestando la mia chitarra a una miriade di artisti di generi diversi. Quelle innumerevoli ore, spesso tre sessioni da tre ore al giorno, erano molto più di un semplice lavoro: erano un crogiolo di creatività, collaborazione e ispirazione incessante».
«Mi veniva richiesto di creare e inventare riff e fraseggi melodici all’istante, senza rallentare il flusso del lavoro in corso con gli altri musicisti e l’artista. Il mio viaggio dall’anonimato del lavoro in studio ai palcoscenici di tutto il mondo con i Led Zeppelin non è stato tracciato da algoritmi o set di dati. È stato un percorso segnato dall’improvvisazione spontanea e da quella scintilla incalcolabile di ingegno umano. L’alchimia che trasformava un riff unico in un inno era incisa nell’anima collettiva della band — una sinergia che nessuna macchina potrà mai replicare».
«Oggi, mentre l’Intelligenza Artificiale cerca di imitare e monetizzare la creatività, ci troviamo a un bivio. L’arte e la musica generate dall’IA, sintetizzate a partire da opere umane esistenti, mancano dell’essenza viscerale che deriva dall’esperienza vissuta. Non sono altro che echi vuoti, privi delle lotte, dei trionfi e dell’anima che definiscono la vera arte».
Il post continua: «Inoltre, le implicazioni etiche sono profonde. Quando l’IA attinge al vasto patrimonio della creatività umana per generare contenuti, spesso lo fa senza consenso, attribuzione o compenso. Questo non è innovazione; è sfruttamento».
«Se, ai tempi delle mie sessioni, qualcuno avesse preso i miei riff senza riconoscimento o pagamento, sarebbe stato considerato un furto. Lo stesso principio deve valere per l’IA».
«Dobbiamo sostenere politiche che proteggano gli artisti, assicurandoci che il loro lavoro non venga risucchiato nel vuoto del machine learning senza il dovuto rispetto. Celebriamo e preserviamo il tocco umano nell’arte — le imperfezioni, le emozioni, le storie dietro ogni nota e ogni cadenza».
«Difendendo la sacralità della creatività umana dall’invasione dell’IA salvaguardiamo non solo i diritti degli artisti, ma anche l’anima stessa del nostro patrimonio culturale».