«È arrivato il momento di John, il concerto per cui avete pagato!»
All’annuncio di Giacomo Toni, apertura di De Leo alla Salumeria Della Musica (prendete Paolo Conte e immergetelo in una vasca piena di LSD: otterrete le sue bizzarre narrazioni pianistiche), il pubblico si fa silenzioso. John De Leo cammina deciso fino a centro palco, e, dando le spalle alla platea, comincia a dirigere la sua Grande Abarasse Orchestra, un po’ direttore d’orchestra e un po’ scienziato pazzo, sicuramente capitano di questa stranissima nave. I suoni iniziano a zampillare vivaci e confusi, obbedienti alle indicazioni impartite dalle irrequiete mani del compositore romagnolo: due violini, una chitarra, due clarinetti, un pianoforte: il suono sgorga libero e confuso, quasi i musicisti avessero perso il controllo del loro strumento. Quando il caos sonoro raggiunge il suo apice De Leo si gira verso il pubblico, e le canzoni della sua ultima fatica Il Grande Abarasse cominciano a prendere forma, in una perfetta dinamica fra rumorismo e momenti melodici, onomatopee e frasi di senso compiuto, ordine e caos. Il fatto che nessuno degli strumenti venga suonato in modo particolarmente ortodosso (complice anche la manipolazione del suono in tempo reale) rende quasi impossibile distinguere la fonte dei singoli suoni: può sembrare la voce di John e invece è il clarinetto basso, pensiamo che il suono che sentiamo diffondersi nell’aria provenga da un carillon, prima di accorgerci che le braccia della pianista sono infilate nella cassa armonica del suo strumento, che le sue dita stanno rubando il lavoro ai martelletti.
La voce di De Leo è il principale elemento ritmico di questa performance e, collegata ad una loop station gestita dall’artista stesso, alterna con estrema disinvoltura cantato tradizionale, canto armonico e momenti di puro delirio (credo che fossimo tutti convinti di ascoltare un’armonica a bocca, prima che John, non prestigiatore ma autentico mago della manipolazione vocale, aprisse le mani rivelando al pubblico che erano vuote). Non fatevi ingannare dall’etichetta di “musica sperimentale”, né dal fatto che il suo ultimo disco sia stato concepito in anni e anni di lavoro: la musica di John De Leo non ha nulla di inaccessibile. Per quanto si tratti sicuramente di avanguardia, essa non è affatto operazione intellettuale, rimane anzi non solo fruibile, ma anche autenticamente divertente. L’ironia e il gioco sono infatti componenti fondamentali di questo complesso mosaico live: per questo motivo oltre che archi, pianoforte e fiati fanno la loro comparsa sul palco anche strumenti meno canonici e più divertenti, come una batteria giocattolo o un karaoke (vi ricordate quegli oggetti colorati composti da un piccolo stereo e un microfono colorato che spopolavano fra i bimbi degli anni novanta? Ecco, quelli).
Il live di John è una specie “gioco per grandi”, uno spettacolo che oltre che poetico sa essere divertente, uno show magistrale nel quale tutto è una sorpresa e nulla lasciato al caso. Tanto che ci siamo chiesti fino alla fine se la ragazza che a gran voce chiamava “Maaaassimoooo!!!” fra Apocalissi Mantra Blues e Di Noi Uno fosse o non fosse parte di questa pazza performance.