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Junior Cally: «Bevevo fino a svenire e col lockdown la situazione è peggiorata»

Uscito dalla clinica dov'è entrato per curare la dipendenza da alcol e sesso, il rapper rintraccia l'origine dei suoi mali nella diagnosi (errata) di leucemia. «Mi è rimasta la paura di morire»

Junior Cally lo aveva reso noto su Facebook: «È arrivato il momento di curarmi». Il rapper originario di Focene, in provincia di Roma, aveva deciso di farsi ricoverare in una clinica in Toscana per cercare di uscire dalle dipendenze di sesso e alcol che, scriveva, lo stavano rovinando, una via di fuga dal disturbo ossessivo compulsivo (Doc) contro la quale combatte da tempo.

A 45 giorni di distanza, un paio di settimane prima dell’uscita del nuovo album Un passo prima (10 settembre, anticipato dal singolo Come Monet), in un’intervista rilasciata al Corriere della sera il rapper ha ammesso le difficoltà a cui è andato incontro, ma soprattutto il buco nero in cui era finito prima della decisione di dare una svolta alla sua vita. Si è prima sottoposto a psicanalisi, meditazione, e yoga e «mi sono reso conto di cosa perdevo quando già prima di pranzo iniziavo col vino e, la sera, dopo altre tre bottiglie di rosso, passavo a grappa, amari, fino a svenire. In rehab, ho scoperto il sapore del caffè la mattina senza postumi della sbornia. Poi, ovvio, ho avuto momenti bui. Ancora ci sono. Quelli in cui mi dico: voglio bere. E quelli in cui mi vengono in mente cose di quand’ero piccolo, del perché sto così».

È nell’adolescenza, infatti, che iniziano i problemi: «A 14 anni, giocavo a calcio. Faccio i provini per il Perugia, il Verona, vanno alla grande, ma mi respingono: avevo le piastrine troppo basse. Cominciano le visite, mi dicono che è leucemia. Quattro anni per ospedali e mille divieti: non posso giocare a pallone, tatuarmi, andare in motorino… A 15 anni, dico a mamma: se devo morire, me lo devi dire. A 18, i medici capiscono che era invece una malattia autoimmune. Mi è rimasta la paura di morire, il Doc è nato così: ho iniziato a pensare che, se accendevo e spegnevo la luce quattro volte o giravo la maglietta due o evitavo i numeri dispari, non sarei morto. Bere aiutava: se sei ubriaco, non riesci neanche ad aprire la porta, figuriamoci a contare le volte che spegni la luce».

Questa condizione non gli ha impedito di avviare la sua carriera nel mondo della musica, anzi, forse è stata l’ennesima via di fuga, soltanto che a un certo punto qualcosa è cambiato e lo ha messo con le spalle al muro. «La situazione è peggiorata col lockdown. Ho sempre bevuto, ma lì ho aumentato. La mattina, non mi ricordavo che avevo fatto il giorno prima, tremavo, il Doc era amplificato, le insicurezze prendevano il sopravvento. Dopo, con le riaperture, stavo sempre in giro per discoteche, conoscevo una ragazza, ci andavo a letto, e il giorno dopo mi sentivo sporco, sbagliato (…). C’entrava l’alcol: la sera, vai a letto con una; il giorno dopo, conosci un’altra a pranzo e pure ci vai a letto… Sono andato avanti così per quasi un anno. A primavera, con lo psicologo, mi sono detto: perché devo cercare conferme col sesso? Non mi serve questo scudo da rockstar».

Infine, Junior Cally ha spiegato che il passaggio in Come Monet in cui racconta di essere andato a letto con le mogli di politici e calciatori è autobiografico: «Era così. Rappresenta i tre mesi più sessualmente densi, peggiori. Mi dicevo: devo essere il primo, è sposata, ma vuole me. Di spiegazioni ce ne sono tante. A Focene, ero sempre il diverso, lo sfigato che voleva fare rap e nessuno ci credeva. Ma rischiavo la morte per tutto e rappare era il mio sfogo. Sentivo di avere talento, facevo le pulizie, il cameriere e mi pagavo la musica. Lì, ho messo la maschera».

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