I ragazzi fuori dal Metro di Chicago stanno aspettando da ore per vedere Archy Marshall, il 23enne cantante di Londra noto come King Krule. Ma Marshall, che oggi ha il raffreddore, fa fatica a mostrare entusiasmo verso il sold out. «Amo suonare dal vivo», dice, «ma in giorni come questi, con la gola che mi fa male di brutto, un po’ meno».
La sua attitudine distaccata si estende pressoché a tutto, compresi gli attestati di stima da parte delle celebrity. Quando Kanye West lo ha invitato a collaborare, dopo avere ascoltato il suo esordio del 2013, 6 Feet Beneath the Moon, Marshall ha rifiutato, perché non voleva tutta quella pressione. Beyoncé ha condiviso sui social il suo scarno e incazzato singolo Easy Easy, sempre di quell’anno. Oggi King Krule è ancora scettico riguardo all’apprezzamento della superstar. «Non credo che sia stata Beyoncé personalmente a interessarsi a me, né che sia venuto in mente a lei di farmi i complimenti. Penso che dietro ci sia il suo team, il suo social media manager. Non l’ho mai incontrata, non è mai venuta a un mio concerto. Quindi cosa c’è di vero, dietro a queste cazzate?».
La sua abilità nel raccontare torbide storie di giovani working class disillusi ha reso Marshall una sorta di eroe underground. Il suo nuovo album, The Ooz, spazia dal jazz al punk, al dub e all’hip hop; con lui che canta di tutto, dalla lotta di classe alla depressione, attraverso la sua scontrosa, innaturale voce rauca. Quando Marshall racconta della sua infanzia, gli arrangiamenti schizofrenici del disco prendono senso: appeso in casa sua c’era un ritratto dell’icona afrobeat Fela Kuti, ed è cresciuto ascoltando artisti jazz come Albert Ayler e reggae come Augustus Pablo.
Sapevo di essere un genio anche prima del successo. Finalmente gli altri se ne sono accorti
All’età di 11 anni registrava già su un mixer a 8 canali. Da quel momento in poi, dice, «sono sempre stato dentro il mio mondo, a creare». Ha perso così tante lezioni a scuola che, a un certo punto, i servizi sociali hanno minacciato di mandare i suoi genitori in prigione; ma a 14 anni la fortuna è girata, quando è stato accettato alla celebre BRIT School, che ha avuto tra i suoi studenti Adele e Amy Winehouse. «Mi ha salvato la vita», dice. Ha iniziato a postare la sua musica su Bandcamp, sotto il nome di Zoo Kid. Dean Bein, il presidente di True Panther, la sua etichetta, un giorno è incappato in Out Getting Ribs, un pezzo tetro e vagamente folk, e nel 2011 ha prodotto l’EP omonimo dell’allora 17enne King Krule. Poi è seguito Six Feet, album dell’anno per la BBC. Marshall ammette che il successo ottenuto da teenager gli ha dato consapevolezza: «Pensavo: “Sì, sono un genio, e adesso lo sanno anche gli altri”». L’ha incoraggiato a esplorare le sue fantasie in The Ooz, uscito a ottobre, che contiene le sue eccentriche trovate, in mezzo ad accessi improvvisi di chitarre e atmosfere da piano bar.
Nel backstage, dopo un’intensa performance, Marshall saluta la band di Chance the Rapper e Carter Lang, produttore di SZA, che sonda la possibilità di una collaborazione tra Krule e il cantante. Lui ascolta, poi riesce a liberarsi con la scusa di andare in camerino a rollare una sigaretta. Il suo umore adesso sembra migliore; alla richiesta di commentare il concerto appena finito, offre un raro sorriso: «Eh», dice. «Tutto a posto».