«Ho sempre avuto l’ossessione di trovare suoni che avessero una resa tridimensionale», ha detto David Gilmour a Rolling Stone, descrivendo le sue ambizioni per le sonorità dei Pink Floyd. «Ho sempre voluto creare qualcosa che sembrasse distante un centinaio di chilometri». Missione compiuta! Dai fulminanti esordi sulla scena psichedelica di Londra all’egemonia sul prog-rock negli anni ’70, e dalle lotte intestine degli anni ’80 fino alla recente e precaria distensione, nessuna band ha avuto lo stesso impatto dei Pink Floyd sulla nostra percezione del rock. In ogni loro incarnazione, gli album dei Pink Floyd hanno dettato le condizioni di una musica capace di regalare travolgenti ed enigmatici viaggi mentali e una magnificenza spettacolare, anche quando si sono cimentati con un’alienazione opprimente e con gli orrori della fama, «quel mostruoso tritacarne che ci mastica e ci sputa fuori», secondo la definizione di Roger Waters. I loro concerti hanno riempito interi stadi con spettacoli d’avanguardia, decennio dopo decennio. E le elaborate e suggestive copertine dei loro album hanno reso il semplice gesto di comprare un loro disco un’esperienza psichedelica. “Quando scavi a fondo nella loro musica, tutto ciò che trovi porta a qualcosa di interessante”, scrive Wayne Coyne dei Flaming Lips in un illuminante tributo che appare in questo numero da collezione di Rolling Stone.
In questo numero abbiamo onorato il patrimonio lasciato in eredità dai Pink Floyd con una guida a ciascuno dei loro album e una raccolta di tributi di alcuni loro eredi, da Jim James dei My Morning Jacket a Robert Trujillo dei Metallica. Abbiamo anche rovistato nei nostri archivi per includere l’ultima intervista rilasciata da Syd Barrett, visionario e tragico fondatore della band. Non è un segreto che i Pink Floyd abbiano creato la loro musica tra forti tensioni personali, e probabilmente saprete che Roger Waters non è esattamente la rockstar più affabile del mondo. Abbiamo raccontato anche questo aspetto. Quando Waters e Gilmour non parlavano tra loro, parlavano con noi, come dimostrano queste pagine, da un intenso racconto del 1987 scritto poco dopo l’uscita di Waters dal gruppo a un pezzo del 2010, in cui Waters riflette sul lascito della band. «Erano tutti sullo spazio interiore. Tutto ruotava sempre intorno a questo», ha dichiarato a Rolling Stone descrivendo i brani della band, «gli esseri umani e la loro interiorità, sia che scrivesse Syd, sia che scrivessi io. La tematica era sempre la stessa». Tutto questo e molto altro da oggi in edicola.