All’ultimo momento i rumor sono diventati realtà. È domenica al Cal Jam, e Dave Grohl sta suonando la batteria per l’ultimo concerto del festival: una reunion in sei canzoni dei Nirvana con Krist Novoselic e Pat Smear, una breve rinascita del suono e dello stile grunge, e la celebrazione di una delle più grandi band della storia del rock.
Il set è arrivato alla fine di un concerto dei Foo Fighters dedicato alla band che Dave Grohl ha fondato nel 1995 dopo l’improvvisa morte del cantante, chitarrista e autore dei Nirvana, Kurt Cobain. Grohl ha sempre cercato di mantenere quella storia a distanza di sicurezza dai Foo, ma domenica sera a San Bernardino, in California, era pronto a ricordare e a festeggiare.
I Nirvana hanno cominciato con Serve the Servants, accompagnati alla chitarra e alla voce da John McCauley dei Deer Tick, che ha cantato il pezzo con la giusta intensità. La scaletta è saggiamente in equilibrio tra hit e brani più oscuri: da una parte il lato più noisey di Cobain, con Scentless Apprentice, dall’altra lo strano ritornello di In Bloom, sempre cantato da McCauley. Sono parecchi gli smartphone sollevati per catturare il momento.
Per gli altri tre brani del set i Nirvana sono stati aiutati da Joan Jett, che ha ripreso il ruolo già suo per il concerto alla Rock & Roll Hall of Fame del 2014. Ha iniziato con Breed, un brano frenetico e perfetto per la sua voce, poi Smells Like Teen Spirit, dove ha suonato anche la chitarra. La serata si è chiusa con All Apologies, suonata in una versione raffinata e lugubre. Novoselic ha lasciato il basso a Brody Dalle dei Distillers, e si è messo all’accordion. Poi, mentre la notte svaniva via, Grohl ha cantato con Jett gli ultimi versi del brano, la voce dolente ma fedele all’originale: “All in all is all we are…”.
Due ore prima, il set dei Foo Fighters iniziava all’improvviso: Grohl è salito sul palco correndo, accompagnato dal suono di un singolo enorme accordo. Non era una canzone, ma un modo per dichiarare quell’energia chiassosa che resterà intatta per tutta la notte.
Il set dei Nirvana è stato il bis di un concerto pensato per ripercorrere 5 anni di musica, suonata a ritroso: in apertura una stellare The Sky is a Neighborhood, una collisione tra hard rock e melodie velenose, con un ritornello che si è subito trasformato in un coro con il pubblico. Come sempre, il materiale dei Foo Fighters è selvaggio, come se l’amore di Dave Grohl per il punk e il classic rock si fosse trasformato in qualcosa di rabbioso e melodico allo stesso tempo. Durante The Pretender, il frontman è sceso dal palco per un po’ di headbanging dritto in faccia ai suoi fan. Nel frattempo la band si allungava su un riff di Chuck Berry, e il chitarrista Chris Shiflett srotolava un bel solo country-rock.
Per i Foo Fighters le canzoni sono solo punti di partenza, si allungano e si allontanano dalle versioni radiofoniche, cambiano suono e arrangiamento, tempo e tonalità. È una dimostrazione d’entusiasmo costante, che continua a crescere dopo decenni di tour in tutto il mondo.
Il Cal Jam, adesso, è il parco giochi personale di Dave Grohl, e qui può fare un po’ quello che gli pare. Nel 2017 ha preso il nome di un festival semi-dimenticato e l’ha fatto suo, puntando i riflettori sui Foo e i suoi eroi. La prima volta ha celebrato l’originale invitando sul palco Joe Perry degli Aerosmith; quest’anno ha guardato indietro fino agli anni ’90, quando la sua storia iniziava insieme a quella dei Nirvana.