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I Manic Street Preachers e la sparizione di Richey Edwards

Nel febbraio 1995 lascia la sua stanza di nascosto e sparisce nel nulla, dopo 13 anni di indagini viene ufficialmente presunto morto. Nel 2009 la band pubblica "Journal for Plague Lovers", un disco interamente basato sui testi scritti dal chitarrista prima di sparire
"Journal for Plague Lovers" è il nono album dei Manic Street Preachers pubblicato nel 2009. Tutti i testi sono di Richey Edwards, il chitarrista scomparso nel 1995

"Journal for Plague Lovers" è il nono album dei Manic Street Preachers pubblicato nel 2009. Tutti i testi sono di Richey Edwards, il chitarrista scomparso nel 1995

Il Club 27 è una confraternita piuttosto affollata, annovera nelle sue fila tutti quei musicisti che sono morti all’età di 27 anni, spesso per overdose o suicidio, qualche volta addirittura assassinati. Na fanno parte Jimi Hendrix, Jim Morrison, Janis Joplin, Jeremy Michael Ward e, strano a dirsi, anche personaggi il cui nome non iniziava con una J, come Kurt Cobain e Amy Winehouse. Ma in mezzo a questa pletora di vite spezzate viene spesso ficcato un personaggio che non dovrebbe far parte della squadra: si chiama Richey Edwards e, di tutta la ciurma, è l’unico a essere scomparso nel nulla.

Richard James Edwards nasce il 22 dicembre del 1967 a Blackwood, una minuscola cittadina del Galles meridionale. I suoi genitori, Sheryl e Graham Edwards, sono ferventi metodisti e gestiscono un salone da parrucchiere in città. Quando arriva al liceo, Richey sembra un adolescente come tanti: timido, riservato, con la faccia tempestata da un impietoso acne giovanile; ma in realtà cova già i demoni che lo porteranno lontano dalla band. Soffre di anoressia e crisi depressive, e periodicamente i suoi genitori trovano sulle sue braccia segni di tagli e bruciature di sigaretta. In compenso è uno studente modello, anche se in classe non sta attento, il programma scolastico lo annoia e allora passa le lezioni a testa china sui suoi autori preferiti, come Orwell, Kafka e Rimbaud. Quando non studia, Richie ascolta musica, in particolare gli Echo and the Bunnymen e i Public Enemy, ma non sogna un futuro da musicista, non gli interessa calcare i palchi come una rockstar, vuole fare qualcosa di significativo e ritiene che la strada migliore sia lo studio.

Così, mentre i suoi futuri compagni di band passano ore in sala prove, lui trascorre le giornate chino sui libri, e nel 1989 si laurea in Storia Politica. Alla Swason University, nel frattempo, ha consolidato la propria amicizia con Nicky Wire, un altro ragazzo di Blackwood che da qualche anno suona con un gruppo chiamato Manic Street Preachers. Una volta laureato, Edwards comincia a girare in tour con la band, prima come autista e roadie, poi come portavoce ufficiale. Ci vuole poco perché James Dean Bradfield e soci intuiscano il potenziale artistico del ragazzo: dopo averlo visto lavorare sui testi e sulla copertina del loro primo singolo Suicide Alley lo invitano a unirsi alla band come chitarra ritmica.

Provate a chiedere a una persona qualsiasi e vi dirà che Richey Edwards era il chitarrista dei Manic Street Preachers, i veri fan della band però sanno che la realtà è un’altra: per sua stessa ammissione Richey non si considera un musicista, tanto che nei primi concerti con i Manic Street Preacher tiene il volume dell’ampli al minimo; a lui interessa più che altro scrivere testi e, se possibile, dare alla band l’afflato artistico che ancora le manca. Sul palco Edwards ha l’attitudine giusta, si veste imitando lo stile dei Clash e dei New York Dolls, spesso si presenta con i vestiti marchiati con frasi tratte dalle opere di Arthur Rimbaud. Ma il suo vero magnetismo, Richie lo mostra lontano dal palco, in particolare nelle interviste, dove sembra fare di tutto per scandalizzare chi gli piazza davanti un microfono. Nel maggio del 1991, il giornalista di NME Steve Lamacq solleva il dubbio che la loro sia tutta una farsa, uno spettacolo da baraccone per attirare l’attenzione, che insomma, sì, i Manic Street Preachers vogliono fare i punk, ma non fanno sul serio; per tutta risposta, Edwards cava di tasca una lametta e si incide nell’avambraccio, a caratteri cubitali, la scritta 4REAL, procurandosi una ferita che richiederà diciotto punti di sutura.

Programmata o meno che fosse, la mossa della lametta funziona: il cachet della band si gonfia e la Sony arriva a bussare alla loro porta offrendo di produrre il loro primo EP, Generation Terrorists. Comincia così, con uno sfoggio di autolesionismo, la scalata della band verso il successo. Nel giro di tre anni i quattro scrivono e promuovono tre dischi, l’ultimo dei quali, The Holy Bible, è sostanzialmente un breviario della disperazione di Richey, il cui stato psicofisico negli ultimi mesi è visibilmente peggiorato. Edwards soffre di gravi episodi di depressione, mangia sempre di meno e beve come un dannato. Le sue condizioni sono così critiche che nella primavera del 1994, poco prima dell’uscita di The Holy Bible, verrà ricoverato in una clinica psichiatrica. Tornerà a suonare in tempo per il tour promozionale che si conclude il 21 dicembre 1994, al London Astoria, dove Edwards festeggia il suo 27 compleanno distruggendo la sua chitarra sul palco di quello che sarà l’ultimo concerto della sua vita.

Il 1 febbraio 1995, mentre gli altri membri della band preparano le valigie per il tour statunitense, Richey Edward lascia di nascosto la sua stanza d’albergo a Londra e sparisce nel nulla. Dei suoi ultimi giorni si sa solo che ha prelevato 200 sterline dal suo conto in banca per poi chiudersi nel suo appartamento a Cardiff. Da allora nessuno l’ha più visto, a parte forse un tassista che sostiene di averlo caricato a Newport e di averlo poi lasciato a una stazione di servizio ad Aust, poco lontano dal Severn Bridge, un ponte che vanta un macabro record di tentativi di suicidio. Il 14 febbraio la polizia locale infila una multa sotto il tergicristalli di una Vauxall Cavalier di proprietà di Edwards, che poi risulterà abbandonata: a quanto pare Richey ci ha vissuto dentro per giorni, fino a consumarne completamente la batteria.

A questo punto le tracce di Edwards si perdono, negli anni seguenti qualcuno sosterrà di averlo visto a Goa, in India, e a Lanzarote, ma non ci sono elementi per valutare la veridicità di questi avvistamenti. Mentre è credenza comune che Richey si sia suicidato gettandosi nel fiume Severn, la sua famiglia non ha mai creduto all’ipotesi suicidio e ha proseguito le indagini per oltre 13 anni. Il 23 novembre 2008, mentre i Manic Street Preachers si riposano dopo il tour del loro settimo album, Richey Edwards viene ufficialmente presunto morto. L’anno seguente, la band pubblica Journal for Plague Lovers, un disco interamente basato sui testi scritti dal chitarrista prima di sparire.

Oggi c’è ancora chi è convinto che Richey Edwards non sia morto, qualcuno se lo immagina dietro il bancone di un negozio, o dietro la cattedra di un’aula di liceo, altri preferiscono l’immagine dell’eterno vagabondo, che sopravvive per miracolo sotto qualche ponte del sud del Galles. Non hanno poi tutti i torti. Perché, certo, Edwards soffriva di depressione e di anoressia, aveva la tendenza a ferirsi e alcuni suoi testi sembravano un’ode all’auto-distruzione, ma chi lo conosceva bene non ha mai creduto all’ipotesi del suicidio. Dopotutto, il ragazzo era un grandissimo ammiratore di Arthur Rimbaud, il poeta francese che a 19 anni, dopo aver firmato alcune delle opere più rivoluzionarie della storia della poesia, aveva abbandonato consapevolmente la scrittura per diventare mercante d’armi in Africa.

In un’intervista per NME, di fronte all’inevitabile domanda su eventuali propositi suicidi, Edwards aveva dichiarato: «Non penso mai al suicidio. Sono più forte di così. Sarò anche debole, ma so sopportare il dolore.» Era l’ottobre del 1994, quattro mesi dopo sarebbe sparito senza lasciare tracce. Forse stava solo recitando la parte dell’artista maledetto ma coriaceo, o forse ha davvero voluto cambiare vita, e farlo alla sua maniera, radicalmente, bruciando ogni ponte che potesse indurlo a voltarsi indietro.

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