Triplicate è l’ultima monumentale esplorazione di Bob Dylan della musica popolare americana. Nonostante lo stile sia simile a quello delle ultime due uscite del cantautore, Shadows in the Night e Fallen Angels, questo ha un peso diverso: è un triplo album, una forma di pubblicazione tanto rara quanto bistrattata.
Il primi tripli della storia sono stati pubblicati nel 1970: si tratta di Woodstock: Music from the Original Soundtrack and More e di All Things Must Pass di George Harrison. Entrambi sono fondamentali per la loro epoca, e sono diventati dei tripli grazie alla grande abbondanza di materiale raccolto in fase di produzione. La raccolta di Woodstock doveva condensare tre giorni di concerti, mentre il disco di Harrison conteneva tutte le canzoni scritte durante gli anni del declino dei Beatles. (Il chitarrista e il produttore Phil Spector sono stati abbastanza furbi da concentrare le improvvisazioni nel terzo LP, in maniera tale da non compromettere la coerenza degli altri 2, dove sono inserite tutte le canzoni vere e proprie).
Negli anni successivi questo formato è diventato il simbolo dell’espansione fuori controllo del rock dei seventies. Europe ’72 dei Grateful Dead, Yessongs degli Yes, Leon Live di Leon Russell e, naturalmente, Welcome Back, My Friends, to the Show That Never Ends – Ladies & Gentleman… degli Emerson Lake and Palmer, infatti, sono tutte opere in cui il terzo LP è stato utilizzato per inserire improvvisazioni e assoli di chitarra, batteria e sintetizzatori. Yessongs ha una media di due canzoni per lato.
Nel caso dei Grateful Dead, poi, il prezzo del disco ha aiutato a pagare le bollette dell’imminente tour oltreoceano. L’unico triplo dell’epoca che conteneva solo canzoni era Will the Circle be Unbroken della Nitty Grity Dirt Band, un tributo mastodontico alle radici del country. (Non stiamo volutamente considerando le compilation come Decade di Neil Young e le raccolte pubblicate in quel periodo dalla Motown).
Proprio la stretta connessione tra i tripli dischi e il mondo del prog, delle improvvisazioni e degli anni ’70, ne ha determinato il declino. Pochi anni dopo, però, quando il formato sembrava ormai goffo, irrilevante e fuori moda, è stato resuscitato da un alleato impensabile: il punk. È alla fine del 1979, infatti, che Metal Box dei Public Image Ltd. e Sandinista! dei Clash hanno rimesso sugli scaffali i tripli LP. Strano che a resuscitarli sia stato il punk, un genere che voleva distruggere proprio cose come il prog e i suoi eccessi.
Poi, per quasi due decadi, i tripli sono stati ibernati. Anche i dischi che un tempo sarebbero stati pubblicati in questo modo, come Mellon Collie and the Infinite Sadness degli Smashing Pumpkins, si nascondevano concentrando le canzoni nei più capienti CD Audio. Prince, libero dal suo contratto con la Warner, ha pubblicato alla fine degli anni ’90 due tripli album, Emancipation e Crystal Ball, opere che avevano decisamente bisogno di una potatura.
È in questo periodo che l’indie rock ha preso in mano la situazione: 69 Love Songs dei Magnetic Fields costituisce un esempio dolce e toccante di cosa si può ancora fare con questo formato. Quasi un decennio dopo, il sognante Have One On Me di Joanna Newsom ha confermato la tendenza del genere a riprendere gli stilemi delle uscite degli anni ’70. Anche i Green Day, cinque anni fa, hanno deciso di fare il grande passo: ¡Uno !, ¡Dos! e ¡Tré! sono stati però pubblicati separatamente, probabilmente a causa della loro inclinazione punk-cred.
Ognuno dei tre dischi di Triplicate dura circa 30 minuti, la prima tripla pubblicazione di Dylan fuori dal mondo delle raccolte. La scelta del formato, in questo caso, è più tematica che produttiva – i 90 minuti totali di musica potevano benissimo essere condensati in solo due dischi -. Le canzoni proposte sono tutte della tradizione pre-rock, che anche questo sia un modo per omaggiare qualcosa di dimenticato dalla storia della musica leggera?