Arca non rilascia interviste, almeno per ora. «Sto vivendo un periodo di cambiamenti così veloci che poco dopo molte delle parole non avrebbero più significato», racconta Alejandro. «La sera prima si è presentato sul palco del VIVA! Festival coperto di lividi finti e sangue, un look che è la naturale riflessione di una musica troppo inafferrabile per essere incasellata. Finito l’inafferrabile Dj set ci infiliamo nel camerino, chiedendo di scattarlo. «Certo!», sorride. Il giorno dopo gli mostro la foto. Gli piace e ci provo: è un peccato non avere un’intervista. «Facciamo così», dice. «Solo una domanda».
Ti sei spesso esibito coperto di sangue finto e lividi disegnati. Perché vuoi sembrare ferito?
È qualcosa che mi attrae da tanto tempo. Penso che tutti abbiamo una cosa in comune: a volte non capiamo perché siamo catturati da qualcosa che le altre persone potrebbero non apprezzare. Credo di avere una teoria soddisfacente che spieghi le ferite e il sangue: stavo semplice- mente esternando come mi sentivo, in qualche angolo recondito della mia mente che avevo seppellito.
Non sapevo nemmeno di sentirmi così tanto ferito, ho semplicemente pensato che fosse giusto presentarmi così. Solo dopo ho realizzato che così potevo capirmi meglio, recuperare ciò che ho vissuto, i dolori che ho provato. Stavo cercando di rendere visibile l’invisibile, di non nascondere una verità.
E solo esternandola simbolicamente attraverso la mia arte sono stato in qualche modo capace di confrontarmi con me stesso. Sono gli impulsi che dettano il nostro modo di esprimerci a insegnarci cose su di noi, ci connettono profondamente a noi stessi e forse ci consentono di connetterci ad altri. Il trucco è di non giudicarsi eccessivamente quando uno di questi impulsi emerge. Si può imparare molto sul subconscio partendo dalla creatività.