Ghali sostiene di essere stato «cancellato» da Radio Italia Live, il concerto in piazza previsto a Napoli il 27 giugno dopo che in un altro evento della radio, quello in Piazza Duomo a Milano che si è tenuto il 15 maggio, ha chiesto un minuto di silenzio «per tutte le vittime in Palestina».
«Sono stato punito», dice il cantante in un’intervista concessa a Real Talk di Middle East Eye, una digital news organisation che si occupa soprattutto di Medio Oriente e Nord Africa. «Il primo giorno» afferma Ghali «non è successo niente, nei giorni successivi mi hanno comunicato che in sostanza non mi sarei esibito. Sono deluso, scioccato e sorpreso da questa mossa dell’industria musicale italiana».
«Sanno quanto mi sta a cuore questo tema. E conoscono il potere comunicativo che ho, quindi provo a immaginare cosa possono fare con artisti che hanno meno potere di me e cosa succede ogni giorno nel mondo con la censura. Potete fare delle cose, ma non potete cancellarmi. È folle che se vuoi mandare un messaggio, un messaggio di pace, devi pagare un prezzo e il prezzo che devi pagare sono i tuoi sogni».
E ancora: «Non ti lasciano esibire se dici delle cose, ma non è un comportamento che rappresenta il Paese. Anche se l’Italia non ha riconosciuto ufficialmente la Palestina, sento e vedo che la gente pensa che la Palestina sia un Paese e desidera che sia libera. Le decisioni del governo non rappresentano il pensiero della gente».
Sulle conseguenze del gesto a Milano: «Non mi pento. Mi sorprende però che avvenga in un evento che ha a che fare con l’arte e con la musica in un paese in cui c’è libertà d’espressione. Il palco per me è sempre stato un luogo dove comunicare con la gente e mandare messaggi. Non è nel mio stile fare musica senza un messaggio, ho sempre unito le sue cose».
Nell’intervista Ghali spiega che continuerà a usare la visibilità che ha per far passare i suoi messaggi, ma non «riesco a giudicare» chi sta in silenzio per paura di perdere contratti o concerti. «Un po’ mi fa arrabbiare e mi fa domandare: chi li ispira? Perché gli artisti con cui siamo cresciuti, i grandi che ancora ci ispirano, hanno sempre preso posizione e trasmesso messaggi. Quindi mi chiedo: perché non parli? Sei sicuro che perderai qualcosa? E quello che perderai, il tavolo a un evento o una posizione in classifica, è più importante che fare la cosa giusta?».
È però vero, continua Ghali, che «fa paura la reazione dell’industria verso gli artisti che parlano della Palestina. Fa paura perché ti cancellano, metti a repentaglio il tuo sogno, ma non mi interessa perché c’è gente che rischia la vita, c’è gente che muore, ci sono bambini che sognano di morire ogni giorno».
Abbiamo chiesto a Radio Italia la loro versione dei fatti (aggiornamento: è arrivata nel primo pomeriggio, la trovate a questo link).
Qui sotto l’intervista integrale: