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Lady Gaga e le meraviglie del pop

Gaga lancia dichiarazioni di appartenenza ad una categoria, quella della diversità, che se condivisa e vissuta con orgoglio può diventare forza. Il report del concerto milanese.

«Io sono la tua famiglia». Lady Gaga inizia con questa rivendicazione il suo incontro con Milano. Dalla sua passione per il rock, che in fondo è la sua vera natura, Lady Gaga ha imparato una cosa: la presenza fisica come strumento di comunicazione. L’inizio del concerto mostra subito tutte le infinite e meravigliose possibilità dello spettacolo pop: dieci ballerini, il palco che si divide in tanti livelli colorati, uno show costruito in sette atti con scenografie e costumi diversi, due passerelle che scendono dall’alto sopra al pubblico fino ad un secondo palco piazzato al centro del Forum strapieno, l’irresistibile potenza ritmica di hit come Poker Face, Perfect Illusion o Telephone.

Ma lei in questo spettacolo travolgente mette qualcosa che la rende diversa da tutte le altre popstar: la propria umanità e le parole. Studiate, precise, scandite come slogan. Ferma davanti al microfono Gaga lancia dichiarazioni di appartenenza ad una categoria, quella della diversità, ricordando che se condivisa e vissuta con orgoglio può diventare forza. «Quando non esiste una cura possiamo metterci a posto l’uno con l’altro con l’amore» dice prima di The Cure. Tra una canzone e l’altra di un set di due ore che ripercorre tutte le fasi della sua carriera, Lady Gaga si prende tutte le pause necessarie per far sentire il respiro affannato nel microfono e dice: «Non rinunciate ai vostri sogni, se vi mettete in testa di fare qualcosa potete fare quello che volete. E se qualcuno a cui avete raccontato tutto di voi stessi vi rifiuta rispondete: I was born this way». La sensazione è che ci sia davvero bisogno oggi di una popstar realmente empatica come Lady Gaga, l’unica in grado di comunicare qualcosa ad una generazione che guarda i concerti attraverso lo schermo di un telefono.

Gaga è “five foot two” di energia concentrata che assorbe tutto quello che ha intorno e lo spara fuori potenziato, sia che si trovi con i Metallica ai Grammy, ad una sfilata della sua amica Donatella Versace o davanti ai suoi fedeli Little Monster. Concentra sempre tutto su di sé. Nulla nel suo show è pensato per distrarre l’attenzione del pubblico, tutto converge verso la sua figura, piccola e gradevole nella sua realissima imperfezione uguale a quella di tutti noi. Lady Gaga è disposta a diventare tutto quello che i suoi fan vogliono, e anche quello di cui hanno paura, per aiutarli a trasformare le proprie insicurezze in una identità. È su questo che ha costruito il concetto di Little Monster: «Rappresenta tutto quello che vuole dire essere forti».

La sua immagine sul palco è un’alternanza di stili e maschere diverse: pettinature anni ’50, tute di pelle da dominatrice futurista, il look da cowgirl glitterata con cui suona la chitarra acustica e si commuove cantando Joanne dedicata alla zia scomparsa prematuramente di cui porta il nome («Questa canzone non ha mai avuto tanto significato per me come in questo momento»), il gusto retrò del momento in cui si siede davanti ad un pianoforte trasparente per eseguire Come To Mama e raccontare la storia della famiglia Germanotta e il suo viaggio dalla Sicilia a New York.

«Il mio nome è Stefani Joanne Angelina Germanotta» dice dedicando Edge of Glory «Ai miei nonni che sono arrivati in nave ad Ellis Island e ai miei cugini Antonino e Maria che ho conosciuto per la prima volta stasera». È sorprendente la facilità con cui Gaga si muove, canta e balla in quel flusso di suoni ed immagini chiamato pop riuscendo a non farsi travolgere e a non perdere mai la sua natura profondamente rock.

Mentre canta una strepitosa versione quasi metal di Bad Romance, Milion Reasons o il suo inno Born This Way Gaga mette in mostra la padronanza del meccanismo dello spettacolo di chi si è formata avvolgendosi intorno ad un palo di lap-dance ma anche l’ironia che le permette di sostenere l’innegabile fascino trash di brani come Alejandro e Paparazzi, interpreta il coraggio di osare e la potenza scenica di Freddie Mercury, il gusto dell’assurdo e il senso della melodia di Elton John, l’inquietudine di Marylin Manson.

Lady Gaga cerca sé stessa sul palco e nelle canzoni e lo fa insieme al suo pubblico, senza paura di mostrarsi nella sua verità invece di presentarsi come una creatura pop irreale. E nel frattempo, mentre fa divertire tutti, lancia messaggi semplici elencando quello di cui il mondo ha bisogno: più empatia, più compassione, più tolleranza, più amore. Chiude il concerto leggendo uno dei messaggi lanciati dai fan (i famosi “monstergram”), racconta la storia difficile di una ragazza, scende dal palco per abbracciarla e dice: «Il dolore ci rende tutti uguali. La mia famiglia fa di me quello che sono». E il suo pubblico risponde alzando cartelli su cui c’è scritta l’unica cosa davvero importante per loro: “Stay Joanne”.

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