Dal 26 agosto con Tv Sorrisi e Canzoni, in collaborazione di Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport, arriva in edicola l’intera opera degli U2 all’interno di un cofanetto che comprende tutti gli album in studio, un cd live e 4 dvd live, in edizione digipack. Oggi esce in edicola il quarto disco della band di Bono, The Unforgettable Fire, e questa è la recensione apparsa su Rolling Stone US nel 1984.
Il titolo del quinto album degli U2 è perversamente sfacciato. Dopo tre LP in studio e un disco registrato dal vivo, la tempestosa guitar band irlandese ha raggiunto le vette mondiali del rock, grazie ai suoi inni roboanti e all’attenzione che sempre ha rivolto alle questioni sociali. Sfortunatamente, con The Unforgettsable Fire, il fuoco degli U2 trema fino quasi a scomparire, soffocato da un’errata strategia di produzione e da mollicci intermezzi occasionali e senza tiro un po’ autoindulgente. Non è un album orribile, ma siamo lontani dalla bellezza irrefutabile cui la band aveva abituato i suoi fan. Cos’è successo?
In un primo momento, la decisione degli U2 di abbandonare la cura esplicitamente pop dei loro precedenti produttori, Steve Lillywhite e Jimmy Iovine, per assumere la leggenda sperimentale Brian Eno e il suo attuale collaboratore, il produttore canadese Daniel Lanois, non soltanto sembrava interessante ma anche ammirevolmente coerente con l’idealismo tanto vantato dalla band. I quattro membri si sentivano artisticamente bloccati dal format ‘hit da classifica’, e il giusto produttore – qualcuno con importanti credenziali artistiche – avrebbe capito il loro impasse e sarebbe stato capace di aiutarli a crescere. Sembrava una scommessa coraggiosa: l’arte contro il vil denaro.
Ma l’idealismo non è arte. Nelle vesti di produttore – al contrario del ruolo svolto nei Talking Heads come producer e songwriter – Eno risulta più prezioso come organizzatore concettuale e stratega sonoro, un maestro nel creare l’atmosfera giusta. Ma con il chitarrista Dave “The Edge” Evans che sforna raffiche di atmosfere post-psichedeliche, gli U2 avevano già più atmosfera di quanta credessero per cui, per quel determinato compito, quella di Eno è stata un’aggiunta inutile alla squadra.
Brian Eno è in grado di esprimere le proprie idee attraverso gli artisti che produce
Uno dei problemi più gravi era rappresentato dalle carenze concettuali della band. Come il produttore tedesco Conny Plank, un altro della scuola Spector (che è anche stato preso in considerazione per questo progetto), Eno è invece in grado di esprimere le proprie idee attraverso gli artisti che produce. Tuttavia, senza aver partecipato alla scrittura dell’album, il lavoro del produttore non può essere paragonabile all’arte dei musicisti. E tutto il suo magistrale schieramento di canti tribali, percussioni etniche e seducenti suoni elettronici, il più delle volte serve a rivelare, in maniera abbastanza scoraggiante, il vuoto creativo che in questo disco ha preso il posto della band, tanto che l’album suona informe e senz’anima.
In realtà, questo non è del tutto vero. Il cantante Bono in quest’album si sente certamente a casa propria – ed è logico che sia così, visto che la sua voce è sempre al centro nel mix. Nella costante mancanza di materiale forte e ben definito, i produttori cercano di creare tensione dinamica nelle tracce, concentrandosi su alcuni elementi musicali presi separatamente: il tono pieno del basso di Adam Clayton, le potenzialità ipnotiche dei pattern di batteria di Larry Mullen o il sottile crescendo sinfonico del sintetizzatore dello stesso Eno. E in questo procedimento distruggono l’esplosivo stile chitarristico di Evans in piccoli frammenti di inventiva, che da una parte arricchiscono il mix, ma dall’altra privano la band della sua fonte di energia primaria che, in qualche modo, Bono cerca di compensare. La sua voce rimane comunque impressionante – in particolare in A Sort of Homecoming e Pride (In the Name of Love), le due tracce di maggior successo – e il cantante dimostra un migliorato senso di controllo vocale (in particolar modo nella titletrack, quando in un tremante falsetto canta “stay tonight”, suggerendo una vulnerabilità coinvolgente).
Purtroppo, però, i testi di Bono assomigliano troppo spesso a un rigurgito di chiacchiere artsy, imperdonabili anche nelle loro intenzioni migliori. Versi come “I veri colori volano tra il blu e il nero/Attraverso un cielo di seta e una contraerea infuocata” (nella canzone Bad), sembrano destinati a trasmettere un’immagine, una verità poetica sulle devastazioni della guerra. Ma il tentativo di metafora è irrimediabilmente confuso: se il “blu e il nero” si riferisce alla carne livida delle vittime di guerra, stanno per caso volando verso il cielo? E perché un cielo “di seta”? E nel brano inutilmente intitolato Elvis Presley & America, Bono si concede alle solite pretese artistiche, balbettando qualche improvvisazione capace di rendere, per così dire, le effusioni sul palco di Patti Smith un esempio di chiarezza spontanea.
Si vorrebbe poter tessere le lodi per tracce cariche di buone intenzioni come Pride (In The Name Of Love), brano ispirato a Martin Luther King, e MLK, che nel titolo racchiude le iniziali di King. Purtroppo Pride si regge solo sulla forza del suo battito sonoro (marchio di fabbrica U2) e su una grandiosa e ronzante linea di basso, non sulla nobiltà delle parole, per lo più insignificanti. E MLK, un grazioso miscuglio pensato ad hoc in studio, è un brano costruito su una strofa cantata per due volte di fila, che inizia così: “Dormi, questa notte dormi/ e possano i tuoi sogni realizzarsi”. Un sentimento ammirevole, ci mancherebbe, ma Bono non aggiunge al testo nessuna illuminazione artistica.
The Unforgettable Fire sembra dilungarsi troppo su una raffica infinita di tintinnii graffianti di chitarra, una pretenziosa produzione e su testi ispirati da un immaginario che più banale non si può (il filo spinato di Pride è proprio un grande concetto). Solo ogni tanto fa capolino la potenza originaria degli U2. Tuttavia, quando questo accade, è possibile perdonare le canzoni annaspanti dell’album (pur fra qualche traccia memorabile) e sperare che, per la prossima volta, non abbiano dimenticato dove si trova il loro vero fuoco.