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“War” degli U2 arriva in edicola: la recensione storica di Rolling Stone

Un cofanetto raccoglie tutti i dischi della band di Bono e soci, e oggi con TV Sorrisi e Canzoni è possibile acquistare il terzo disco

Dal 26 agosto con Tv Sorrisi e Canzoni, in collaborazione di Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport, arriva in edicola l’intera opera degli U2 all’interno di un cofanetto che comprende tutti gli album in studio, un cd live e 4 dvd live, in edizione digipack. Oggi esce in edicola il terzo disco della band di Bono, War, e questa è la recensione apparsa su Rolling Stone US nel 1983.

Era chiaro sin dall’inizio che gli U2 fossero capaci di dar vita a grande musica. Basti pensare ai riff taglienti di chitarra e all’esplosione che lancia I Will Follow assieme al resto del loro album di debutto Boy del 1981.  
Il tutto corredato dall’immediatezza musicale con cui questi quattro ragazzi di Dublino sono riusciti, in maniera istintiva, a dare al loro sound una sconcertante magniloquenza grazie a semplici cambiamenti di dinamica e armonie elementari. L’unico problema era che una volta ottenuta l’attenzione dell’ascoltatore, gli U2 non avessero da dire molto di più.
Boy esibiva una poetica sui misteri dell’infanzia senza realmente riuscire a illuminarne nessuno, mentre il suo successore, October, si circondava di romanticismo e senso religioso senza tuttavia dimostrare di aver compreso né l’uno né l’altro. Senza un pensiero forte che reggesse i ritmi scatenati e i giganteschi crescendo, gli U2 spesso finivano per sembrare piuttosto superficiali.

Con il loro terzo album, War, gli U2 hanno trovato un proprio pensiero e, con esso, hanno generato il loro lavoro più convincente di sempre. War all’ascolto è impressionante ma, ancor più importante, l’album tratta un argomento spinoso in maniera consapevole. Il tema centrale è il conflitto partigiano in Irlanda del Nord, o ciò che gli irlandesi chiamano “The troubles”. Gli U2 non sono la prima band ad affrontare l’argomento: gli Still Little Fingers di Belfast avevano già affrontato la questione in maniera esplicita, e anche i Clash seppur in maniera più trasversale. Ma nessuno aveva capito in maniera così accurata il paradosso tra la presa di posizione e l’azione.

Sunday Bloody Sunday, che apre l’album, sembrerebbe riferirsi al Bloody Sunday, un incidente del 1972 in cui i soldati britannici uccisero tredici civili durante una manifestazione illegale per i diritti civili a Londonderry. Una chitarra acustica e un hi-hat tagliente costruiscono la tensione mentre Bono canta “I can’t believe the news today” (“Oggi non riesco a credere al notiziario”). La band scivola tra seducenti accordi sostenuti mentre il cantante si chiede “How long? How long must we sing this song?” (“Per quanto tempo? Per quanto tempo ancora dovremmo cantare questa canzone?”) per poi piombare di nuovo su un ritmo militare irregolare.

La canzone assume i tratti di una tragedia, che aggiunge credibilità alla malinconia del ritornello: “Tonight, we can be as one. Tonight!” (“Stanotte, possiamo essere una cosa sola. Stanotte!”). Ma Bono scopre le carte quando esplicita il proprio messaggio di impotenza: “I won’t heed the battle call / It puts my back up, puts my back up against the wall” (“Non voglio ascoltare il richiamo alla battaglia, mi sento messo all’angolo”). Ciò che Vox e la sua band stanno dicendo è che non ha senso assumersi dei rischi irresponsabili davanti a un’autorità anch’essa irresponsabile – ma bisogna comunque prendere posizione.

Al contrario dei Clash, che lottano contro una politica estera imperialista, o dei Gang of Four, che provano a tradurre la dialettica marxista nel linguaggio del dance floor, gli U2 non pretendono di avere la risposta ai problemi del mondo. Impiegano, invece, le loro energie a farci conoscere la loro preoccupazione e per richiamare l’attenzione pubblica su quelle questioni. Il che non è solo positivo, ma è anche più sensato, perché gli U2 capiscono che è il gesto che conta, non il messaggio.

A completare la crescita degli U2 nei testi c’è un nuovo e oscuro sense of humor, che la band utilizza in tutto l’album come effetto speciale. Seconds, per esempio, si apre con un riff funky in sordina guidato da una briosa cassa giocattolo. È un contrasto piacevole, ma appena il tema della canzone diventa più chiaro – la follia della minaccia nucleare in cui, come canta Bono, “the puppets pull the strings” (“le marionette muovono i fili”) – ci si rende conto che il gioco non è più innocente di quanto non lo fosse Il tamburo di latta di Günter Grass. Allo stesso modo New Year’s Day include la frecciata “So we are told, this is a golden age / Gold is the reason for the wars we wage” (“Così ci viene detto, questo è un periodo d’oro/ L’oro è la ragione per le guerre che combattiamo”)- un’osservazione molto più saggia di quanto sembri a primo sguardo.

Tuttavia War non è soltanto fatto di ideali esausti e umorismo acre, per il modo in cui Bono fa le sue dichiarazioni, il suo canto rivela la piena fioritura delle abilità melodiche degli U2. In mezzo all’umorismo aspro di Seconds, il cantante irrompe in una gioiosa fuga melodica senza usare parole, mentre la sua voce cresce in una polifonia multi traccia sopra il ritmo incerto della canzone.
Surrender è leggermente più calma, grazie alle sue melodie ariose e alla chitarra calda di The Edge. Infatti, in questa canzone la musica riesce a comunicare più di quanto le parole potrebbero mai fare, perché sentire l’incantevole tenore di Vox galleggiare sopra le seconde voci (il merito va ai Coconuts di Kid Creole) rende una definizione di “Surrender” (arrendersi) migliore di qualsiasi vocabolario.

In generale, la forza dell’album consiste principalmente negli arrangiamenti ben affilati e nelle dinamiche bilanciate in maniera attenta. Anche nei momenti in cui The Edge si lancia in linee di chitarra sempre più sofisticate, riesce a mantenere la schiettezza minimalista che accendeva la scintilla di Boy. E mentre il bassista Adam Clayton e il batterista Larry Mullen Jr. oscillano su ritmi maggiormente dance oriented, le canzoni della band sfrecciano lungo una sorta di risolutezza brutale più frequentemente associate al punk.

Gli U2 possono anche non essere grandi intellettuali, e War può anche suonare meno profondo di quanto è in realtà. Ma qui le canzoni in termini di impatto reggono il confronto davanti a qualsiasi traccia di London Calling dei Clash, e il fatto che gli U2 riescano a sconvolgere l’ascoltatore con lo stesso tipo di romanticismo entusiasta che alimenta i grandi gesti della band è un impresa emozionante.
Per una volta, non avere tutte le risposte sembra essere il quid in più.

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