Quella di Bertrand Cantat è una storia tristemente nota, la storia di un musicista in bilico tra un talento straordinario e un lato oscuro ritratto anche nel nome della sua band, i Noir Désir, con cui nel 2001 l’artista francese conquistò le classifiche di mezzo mondo grazie al singolo Le vent nous portera, tanto da essere soprannominato “il Jim Morrison del rock francese”.
È di poche ore fa la notizia per cui Cantat ha deciso di annullare tutti i concerti previsti per quest’estate nei festival francesi in seguito alla protesta nata su Change.org, petizione che ha raccolto l’adesione di circa 75mila persone. Al centro del dissenso, la partecipazione di Cantat al Papillons de Nuit, festival di Saint-Laurent-de-Cuves in Normandia: “Invitando Bertrand Cantat legittimate la violenza domestica e la violenza contro le donne”, recita il testo diffuso contro il musicista, “I nostri unici criteri devono essere artistici”, avevano risposto in un comunicato gli organizzatori del festival. Protesta poi rimbalzata su tutti i media del Paese, ripresa da diverse associazioni femministe così come da tantissimi cittadini francesi, scesi nelle piazze di Montpellier, Rouen, Dijon, e Grenoble per manifestare contro Cantat che, da parte sua, attraverso Facebook invoca il “diritto al reinserimento nella società”. Tuttavia, se le esibizioni ai festival sono state annullate, lo stesso non è accaduto per i concerti da solisti; è di ieri sera l’esibizione a Montpellier, osteggiata ma comunque andata in scena.
Merci au public de MONTPELLIER que quelques perturbateurs ont tenté de culpabiliser, sans succès !
Pubblicato da Bertrand Cantat su martedì 13 marzo 2018
Il marchio indelebile che Cantat ancora si porta addosso è l’omicidio della compagna Marie Trintignant, attrice francese figlia di Jean-Louis Trintignant. Era il 26 luglio 2003 quando la donna, all’epoca 41enne, fu ricoverata a Parigi in condizioni critiche dopo che Cantat l’aveva massacrata di botte a Vilnius, in Lituania, dove l’attrice stava girando il film Colette. Trintignant morì qualche giorno dopo, il primo agosto: dall’autopsia risultò la frantumazione delle ossa del naso, un grande ematoma sull’occhio sinistro e sulle labbra e diverse lesioni cerebrali. Durante il processo il leader dei Noir Désir fu condannato a otto anni di prigione, pena mitigata dalla testimonianza dell’ex moglie Krisztina Rády, con cui Cantat aveva due figli.
Nell’ottobre 2007 al cantante fu concessa la libertà condizionata “per gli sforzi di reinserimento sociale fatti dal condannato e anche per le sue prospettive di reinserimento professionale”. Reinserimento successivamente affossato da una nuova tragedia. Dopo la sua scarcerazione, infatti, Bertrand Cantat era tornato insieme a Krisztina Rády, ma la gelosia paranoica del cantante trascinò la relazione dentro un tunnel oscuro che, il 10 gennaio 2010, spinse Rády ad impiccarsi nella sua casa di Bordeaux, uccidendosi mentre Cantat dormiva in un’altra stanza. Nonostante le varie testimonianze di violenza domestica raccontate da Rády ai genitori, questi non denunciarono Cantat, spinti dalla paura che l’artista negasse loro la possibilità di vedere i nipoti.
Abbandonato dal mondo della musica così come dagli ex compagni dei Noir Désir, Cantat è tornato a far discutere lo scorso ottobre, in occasione dell’uscita del suo nuovo lavoro solista, Amor Fati, quando il magazine Les Inrockuptibles ha deciso di metterlo in copertina proprio nei giorni in cui, oltreoceano, si scatenava la tempesta seguita allo scandalo Weinstein. Al centro dell’indignazione era il tono dell’intervista fatta a Cantat, riabilitato dalla testata ‘colpevole’, secondo i critici, di aver dato spazio solo alla redenzione del cantante senza spendere nemmeno una parola per ricordare Marie Trintignant o Krisztina Rády.
Pour mettre fin à toutes les polémiques et faire cesser les pressions sur les organisateurs, j’ai décidé de retirer notre projet de tous les festivals d’été.
Bertrand Cantat
Pubblicato da Bertrand Cantat su lunedì 12 marzo 2018
Parole riprese ieri su Facebook da Cantat, con cui l’artista ha deciso di cancellare la sua partecipazione ai festival: «Esistono dei buchi neri nel tessuto della vita, che non si riempiono. Tuttavia non ho mai cercato di sottrarmi alle conseguenze e quindi alla giustizia. Ho pagato il debito al quale la giustizia mi ha condannato, ho scontato la mia pena. Non ho beneficiato di privilegi(…). Desidero oggi, come qualsiasi altro cittadino, fare valere il mio diritto al reinserimento sociale. Il diritto di fare il mio lavoro, il diritto per i miei cari di vivere in Francia senza subire pressioni o calunnie. Il diritto per il pubblico di andare ai miei concerti e di ascoltare la mia musica».
Nonostante, in questo caso, il post apra proprio ricordando Marie Trintignant – “uccisa senza volerlo” –, ha fatto discutere il tono vittimista e difensivo di Cantat, per cui i media sarebbero colpevoli di aver strumentalizzato la tragedia. Non è infatti una novità che Cantat venga catapultato al centro dell’attenzione pubblica: troppo ghiotto per le testate usare un volto ancora discusso come il suo per attirare l’attenzione, cavalcando il solito “Nel bene o nel male, purché se ne parli”. D’altra parte sono in molti che giustificano il reinserimento in società di Cantat, appellandosi a una formula già sentita allo sfinimento – “Se avesse fatto l’elettricista gli verrebbe comunque impedito di tornare a fare il proprio mestiere?”.
Peccato che Cantat non faccia l’elettricista e che nelle sue canzoni spesso racconti di amori tormentati fino all’ossessione, ritratti attraverso una sofferenza lacerante. Per quanto poi siano passati più di dieci anni, la violenza con cui Cantat si scagliò contro Trintignant rimane indelebile, seppur il cantante abbia sempre dichiarato di non ricordarsi di quei 20 pugni con cui uccise la compagna, annebbiato a tal punto dall’alcol da rendersi conto di quanto accaduto solo il mattino seguente. In una rara intervista con la testata francese Gala, la madre di Tritignant aveva condannato Cantat per il suo ritorno sui palchi, attaccando anche quei promoter che vogliono in qualche modo ‘lucrare’ sul brutale assassinio di Marie: «Non ha pagato niente», aveva detto la donna. «Avrebbe dovuto stare in prigione per 20 anni (…), tutti sembrano aver dimenticato il numero di colpi ricevuti da Marie».
Insomma, il discorso è se esista o meno la possibilità per un personaggio pubblico di redimersi. Se da una parte Cantat, almeno giuridicamente, ha pagato il suo debito, d’altra parte è vero che un ritorno sui palchi sarebbe uno schiaffo non soltanto verso le famiglie delle due vittime, ma anche al periodo storico in cui stiamo vivendo, in cui suonano sempre più rumorosi i movimenti femministi che chiedono pene severe contro chi si macchia di femminicidio. È giusto impedire a Cantat di esibirsi? O sarebbe meglio lasciare che siano i fan a decidere se andare o meno ai suoi concerti? O, ancora, esiste il rischio che le sue gesta vengano imitate tanto è ‘reale’ la vividezza con cui l’artista racconta dei suoi demoni? Per quanto in carriera abbia scritto dischi straordinari – basti pensare a Veuillez rendre l’âme (à qui elle appartient) o al celebrato Des visages des figures – rimane il fatto che ogni volta cui viene concesso a Cantat di suonare in pubblico, viene anche concesso spazio alla mercificazione delle vittime e del dolore delle famiglie, a loro volta vittime di un ricordo mai lasciato in pace dallo show business francese, anche qualora Cantat abbandoni per sempre la musica.