A inizio marzo, la scena hip hop americana ha fatto un tifo da stadio per due rapper donne impegnate in una guerra a colpi di dissing: Remy Ma (molto rispettata fin dagli anni ’90, è in libertà vigilata dopo una condanna per una sparatoria nel 2007, cosa che l’ha tenuta lontana dai palchi per un bel po’) e Nicki Minaj (che non ha certo bisogno di presentazioni). Dall’Italia la cosa sembra quasi surreale, visto che qui è difficile sentir parlare anche solo di una rapper per volta. L’unica ad avere ottenuto successo di pubblico, Baby K, ha ormai ambizioni più da popstar che da rapper. E se perfino una delle più autorevoli voci italiane in merito, Paola Zukar, nel suo libro Rap – Una storia italiana consiglia alle ragazze non di cimentarsi al microfono, ma di seguire le sue orme e diventare manager, c’è davvero da chiederselo: il rap al femminile dalle nostre parti ha un futuro?
Spoiler: la risposta è sì. Anche perché le donne nell’hip hop sono più di quelle che sembrano: c’è addirittura chi è riuscita a fondare una crew di sole ragazze. Fly Girls, questo il suo nome, fa base a Milano, riunisce rapper, dj, cantanti e b-girl ed è capitanata da Vaitea, una vera decana del genere: la sua prima apparizione su disco risale al 1996 e rappando in italiano, inglese e francese, è riuscita a farsi apprezzare anche nel resto d’Europa. È la prima ad ammettere che per le ragazze a volte è dura, ma è tutta questione di punti di vista: «Come donna mi è capitato di sentirmi discriminata o presa meno sul serio, come penso sia successo a molte altre in vari ambiti. Ma so anche riconoscere la forza di essere una donna in un contesto principalmente maschile: mi fa piacere portare un po’ di yin in tutto questo yang».
Un po’ più a sud, a Bologna, la perugina mc Nill tiene alta la bandiera di due comunità, quella dell’hip hop al femminile e quella LGBT: tra le altre cose è la prima rapper italiana dichiaratamente omosessuale – in assoluto, perché nessuno dei colleghi maschi si è mai professato apertamente gay. Ha raggiunto traguardi importanti in freestyle, sia dal vivo (Tecniche Perfette) che in tv (Mtv Spit), e il suo album Femminill ha ottenuto riscontri molto positivi. «Le prime volte che salivo su un palco per una battle, vedevo lo sguardo delle persone: era raro che i miei amici mi seguissero, quindi nessuno mi tifava o credeva in me. Mi prendevo il rispetto con le mie rime, e quelle stesse persone dopo mi raggiungevano per complimentarsi».
Ma se da una parte basta spaccare per stroncare le perplessità del pubblico sul nascere, dall’altra certi pregiudizi sono duri a morire, come spiega bene Marti Stone, abruzzese: «Basti pensare che per insultare un rapper maschio gli danno della donna: immagina cosa succede a noi. Sembra quasi che dia fastidio vedere una donna che sa fare rap. Tutti i miei hater sono maschi e piccoli (sia di testa che di età)». Probabilmente si ricrederanno nel 2018, quando uscirà il suo nuovo album: lo registrerà quest’estate a Los Angeles, in compagnia di diversi nomi emergenti internazionali.
Ed è abruzzese anche un’altra grande speranza del rap italiano: Leslie, uno di quei rarissimi casi in cui anche i più scettici restano a bocca aperta e non possono che ricredersi sul binomio donne-rap. Vive a Pescara, di professione fa l’operaia (ancora per poco, a giudicare dal suo talento), ha 23 anni ha scritto le sue prime rime quando ne aveva solo 7. Si è imposta all’attenzione degli addetti ai lavori con una serie di strofe dal titolo S/N, senza nome, con lo scopo di “piazzare l’asticella in alto”: «Volevo far capire a tutti cosa so fare con il rap, così quando uscirà il mio primo EP, che sarà molto più musicale, tutti già lo sapranno». Per lei che è di una generazione più giovane, quello della discriminazione è un non-problema: «Con il vero pubblico dell’hip hop, che accetta il confronto con le ragazze, non ho difficoltà. Ma chi presenta la sua musica su Internet deve sempre fare i conti con l’italiano medio, e l’italiano medio è spesso maschilista». Nel 2017 però sembriamo finalmente pronti, se non per la parità totale di genere, almeno per le quote rosa: vedi il caso di Priestess, nuovissimo acquisto di Tanta Roba. Il suo mix di trap, R&B e rime cazzute suona come una ventata d’aria fresca in un’etichetta prettamente maschile, come dimostra anche il suo nuovissimo singolo Maria Antonietta.
Vada come vada, comunque, difficilmente vedremo dissing nel rap al femminile italiano. E questo perché – finora, almeno – le ragazze del rap sembrano più impegnate a supportarsi che a demolirsi a vicenda. E tutte sono unanimi nello scommettere l’una sull’altra, e su una manciata di altri nomi da tenere d’occhio: Loop Loona, Dea, Wazzy, Comagatte, Phedra (quest’ultima al momento è in maternità, ma tornerà presto più agguerrita che mai) e Sally Bowles. E anche se per ora non hanno ancora i numeri dei colleghi maschi, quando le rapper si saranno prese la scena sarà il turno delle produttrici come The Essence o Liz Vega, o delle dj come Leva57. Verso l’infinito ed oltre.