Il mondo del rock non ha mai visto un’epidemia di ritiri come quella che vediamo oggi. Nelle ultime settimane, alcuni dei performer più leggendari della storia della musica hanno dichiarato che lasceranno le scene. Elton John ha annunciato il suo Farewell Yellow Brick Road Tour, Paul Simon suonerà l’ultimo concerto ad Hyde Park. Neil Diamond ha cancellato parte del suo tour – organizzato per i 50 anni di carriera -, ha il Parkinson e il medico gli ha vietato di proseguire. Alex Lifeson, il chitarrista dei Rush, ha rivelato: «Non abbiamo in programma tour o session di registrazione. Abbiamo finito, praticamente. Dopo 41 anni ci sembrava abbastanza».
Il concetto di “abbastanza” è piuttosto fumoso nel rock & roll, ma è comunque uno shock vedere tutte queste leggende che abbandonano il palco nello stesso momento. È un momento storico, stiamo assistendo ad un’inversione di rotta epocale: i veterani non hanno perso il tocco magico, non si tratta di questo, e chiunque abbia visto Neil Diamond dal vivo nell’ultimo anno può confermarlo. E altri “guerrieri da tour” continuano a salire sul palco anche a 80 anni suonati, da Paul McCartney a Bob Dylan fino a Fleetwood Mac. Quello che sta succedendo è che alcuni di questi “anziani” stanno inventando qualcosa che non esisteva prima d’ora: “il ritiro rock & roll”.
Un tempo i concerti d’addio scatenavamo scetticismo e polemiche. Queste serate, spesso sbigliettate a prezzi esagerati, sono un vecchio trucco del settore. Ma ora i tempi sono diversi da quelli del tour d’addio di Cher. «Mi piace indossare i suoi vestiti, è vero, ma non sono come lei», ha detto Elton John in conferenza stampa, «questa è la fine». Non scherza affatto. «Le mie priorità ora sono i miei figli, mio marito e la mia famiglia. Voglio stare a casa».
Anche Joan Baez, 60 anni dopo il suo debutto, ha deciso di appendere la chitarra al chiodo. «Primo: cantare è diventato troppo difficile», ha detto a Rolling Stone. «Nessuno può immaginare lo sforzo necessario a mantenere queste corde vocali… non posso più cantare un cazzo nel registro alto». I Lynyrd Skynyrd hanno annunciato il loro ultimo tour. La fibrosi polmonare di Sonny Rollins – 87 anni – l’ha costretto a fermarsi. Perché adesso? Negli ultimi due anni il mondo della musica ha perso moltissime leggende, è vero, ma sono due le morti che incombono sui musicisti di tutto il mondo: Prince e Tom Petty erano più giovani di quasi tutti i nomi fatti fino ad ora, e sono morti entrambi a causa dello stesso antidolorifico – il Fentanyl – dopo anni di tour durissimi, troppo duri per chiunque. Abbiamo visto Prince fare magie sul palco per anni, ma è solo dopo la sua morte che abbiamo capito quanto punisse il suo corpo per riuscirci. Petty ha suonato un’intero tour con un’anca rotta, e non se n’era nemmeno accorto. La loro morte ha acceso un campanello d’allarme, sia per i musicisti che per i fan. Nessuno vuole vedere i suoi eroi morire in quel modo.
La strada chiede pegno, non è un segreto – “It’s a goddamn impossible way of life”, cantava Robbie Robertson in The Last Waltz. Ma il touring business è strutturato intorno ai “vecchietti” – a volte anche dopo la loro morte. Elton John ci ha scherzato su, ha raccontato di aver detto ai figli: «Quando papà morirà, promettete che non ci sarà un suo ologramma in giro a suonare». Anche Elton John, infatti, sa che la fine non è mai davvero la fine. «Chi lo sa? Magari andiamo in bancarotta e sono costretto a salire di nuovo su quel cazzo di palco».
Randy Newman ha riassunto tutto alla perfezione. «I musicisti continuano a esibirsi. Ma a casa non è rimasto nessuno ad applaudire».
E quando fanno un passo indietro, non ci vuole molto per capire quanto le luci del palco siano difficili da dimenticare. «Faccio il lavoro migliore del mondo», ha detto Neil Diamond quest’estate, durante un concerto a Los Angeles. «Io canto. Voi ascoltate. Poi applaudite. Canto più forte, vado ovunque ci sia rumore». Il pubblico ama essere parte di quel rumore. «Sono una di quelle persone che preferirebbe stare in spiaggia a non far niente, ma non ci riesco», ha detto a Rolling Stone nel 2016. «Sono dipendente dal fare e disfare le valige».
Gli Who sono finiti sulla cover di Rolling Stone nel 1982, e quell’anno annunciarono il loro ultimo tour, «l’ultimo, prima di diventare la parodia di noi stessi», spiegava Roger Daltrey. La mia copia di quel numero è più vecchia di Nicki Minaj, ma gli Who sono ancora in tour, oggi, con See Me, Feel Me. Chi può fargliene una colpa? Solo i puritani possono prendersela con rockstar che vogliono continuare a suonare. Che cosa volete che facciano?
David Bowie ammiccava al suo ritiro ogni due o tre anni, spesso sorridendo e rilasciando dichiarazioni assurde. «I’ve rocked my last roll», diceva. Eric Clapton ha fatto la stessa cosa, e poi l’ha fatto ancora. «Questa è davvero l’ultima volta», diceva nel 2001. «Sono stanco, non riesco più a suonare un solo senza annoiarmi». E tutti gli abbiamo creduto, e probabilmente lui credeva a quello che diceva. Ma oggi, 17 anni dopo, ha un tour estivo in Europa. La strada continua per sempre.
Quello che sta succedendo adesso, dicevamo, è qualcosa di inedito. Un tempo, prima che le rockstar diventassero fisate con il fitness e la sobrietà, vivevano troppo poco per preoccuparsi di come andarsene. Ora, alcuni di loro vogliono continuare a produrre musica, ma non a distruggere il loro corpo sul palco. Altri, invece, vogliono smettere e basta.
Nel film Il mucchio selvaggio, William Holden vuole fare un ultimo colpo prima di lasciare. Ernest Borgnine gli chiede: «Ma lasciare cosa?». È questa la domanda che perseguita i musicisti, che li continua a riportare sulla strada. Una generazione sta cercando nuovi modi per fuggire verso l’orizzonte, un addio che renda giustizia alla loro eredità, e al loro pubblico. Non esiste un modello da seguire, solo storie di tentativi fallimentari. È un viaggio verso l’ignoto. Ma per molti è arrivato il momento. Goodbye, yellow brick road.